Vincenzo Noto

 

 

Alda, mi manchi

 

 

I miei incontri con Alda sono stati momenti di estasi poetica. Mi narrava la sua vita come un inno d’amore. Donna carica di passione e di affetto. Viveva ogni istante denso di canto e di libertà. Libera da tutto, eccetto dalla sua sigaretta. I suoi passi, in quella stanza pigiata di ricordi, erano quelli del canto del Cigno. Non scrivo su di lei ciò che non ho udito nell’anima. Ogni incontro tra noi due era un appuntamento con lo spirito. Infiammava di voli artistici. I suoi sensi erano un’empatia di slanci e di emozioni. La sua parola era calda della sua eccezionale storia. Raccontava i suoi sogni come reali e vissuti, anzi incarnati di sofferenza. Si arrabbiava sovente contro il suo diavolo-persona che lo avvertiva perseguitare il suo sonno e il soffitto roboante di  amnesie. Il suo diavolo era una persona che tanto aveva amato. Era una persona che più volte l’aveva colpita a morte. La sua vita una vera Gerico di lotta e di passione. Nulla può il maligno, sia quello visibile che invisibile, sul suo poema ardito di follie divine. Nulla può lo stratega dei nervi sul suo poema della croce. Innamorata di Cristo, dei suoi occhi, dei suoi capelli, del Galileo della passione, della sua croce, carne dell’umanità, e lo chiamava figlio dell’amore. Alda mi manchi e nello stesso tempo mi sei dentro. Sfoglio le tue dediche. Sfoglio i tuoi doni, sfoglio la tua immagine, sfoglio le tante foto che mi hai donato, sfoglio l’immagine della mia anima a padre Turturro. Abbraccio il tuo scialle di coniglio bianco. Quello scialle delle tue numerose premiazioni, delle tue lotte televisive. Intreccio le tue collane che mi avvinghiasti nei nodi dei tuoi versi a me dedicati, nelle note dei miei poemi. Quante volte ho suonato al tuo citofono. Pigiavo forte la mano sul campanello del tuo naviglio. E tu mi aspettavi impavida. Tu mi aspettavi dietro la porta senza maniglia, senza chiavistello. Mi aspettavi dietro con la tua sigaretta tra le dita bruciate di attesa e mi urlavi con la tua bocca dalle labbra di denso rossetto.:” Non aver paura, non faccio l’amore con i preti. Entra. Dimmi il tuo dolore. Dove sono le tre rose? Dimmi le tue lacrime non più abbondanti delle mie. Dimmi. Entra, ecco il mio maestro di pianoforte. L’ho chiamato per te. Ti ho preparato questa volta una sorpresa. Però tu non mi hai portato le tre rose. Cos’è questo quadro chi mi porti? Ecco ti ho preparato questa foto. E’ l’”imagine della mia anima“. Tienila. E’ per te. Vedi e senti le mie mani. Sono malate e tu le devi guarire. Devi rendermele innocenti e candide, come una volta. Devi stringermele a te. Ricordati che quando sarò nell’anima della morte, realizza degli incontri di solidarietà con queste mie foto, con questi miei versi. Parla di Alda, dalle mani di fata. Senti lassù, sul soffitto? Quello lì non mi lascia mai. L’ho seppellito nei macigni dei ricordi. Quello lì ancora mi perseguita, nonostante la passione del mio manicomio. Troppo male mi ha fatto. Troppo male la sua carne. Troppe notti insonni. L’ho sconfitto per sempre. L’ho sputacchiato nell’inferno. Non te la prendere se schiaccio i mozziconi delle mie sigarette sul pavimento. Mi sembra, ogni volta che lo faccio, di calpestarlo con rabbia quel delinquente. Le bestie dello spirito sono più feroci di quelle di tutte le foreste. Ti regalo, ecco prendilo, il mio poema dell’amore con dedica. Quanto ho amato. L’amore più grande è stato il mio manicomio. Quanto volere per resistere alla pazzia e alle iniezioni  di addormentare lo spirito, sai la mia anima, i miei ricordi, secondo loro sono frutti di pazzia o di malattia. Quante percosse per uscire nella libertà. Ecco prendi anche questa. E’ una mia poesia che dedico al tuo impegno. Scrivila nella tua Editoria di solidarietà. Scrivila così pazza e così incarnata di amore. Non mi hai ancora guarite le mie mani. Sono rattrappite di nervi e di attesa. Vieni, vieni nella mia stanza da letto. Senti il Canto del Cigno? Senti come danza? Senti come chiama? Perché non senti nulla. Devi, devi sentire, non sei come gli altri che non sentono nulla. Siediti qui, accanto a me, sul mio letto. Guarda in alto, su quella parete. Ci sono tutti i numeri telefonici. Sono le voci della notte. Sono i richiami dell’oltre. Senti il Canto del Cigno? Ora è più vibrante. Ora è più chiaro. Ora è per me. Scendono le mie lacrime al suo richiamo. E’ per me. Scendono per il mio olocausto. E’ il Canto del Cigno. Mi ha atteso tanto prima di concludere il suo ultimo volo. Paolo, è il canto della morte. Stringi forte le mie mani. Non resisto al suo richiamo. Quel prete, di fronte alla mia casa, quel prete del naviglio, mi ha rigettato, come una prostituta. Ecco la mia tensione di quell’amaro rifiuto. Che cosa ho fatto per essere buttato fuori dalla chiesa? Un uomo, il figlio dell’uomo, due mila anni fa si è fatto ungere di amore i suoi piedi da Maddalena. Quanto volevo esserci io, lì, ai suoi piedi. Tu mi stringi le mani. Ora le sento più calde. Le sento guarite. Non sei mica quell’uomo? Andiamo, il tuo amico Sergio con Debora ti aspetta nella stanza del pianoforte. Eccoci qua. So che dovete andare. Tutti escono di fretta dalla mia stanza. Ti raccomando di non scrivere sciocchezze su di me, come fanno tanti. Mi affido ai tuoi sogni che presto si realizzeranno. Ho qui i tuoi libri dell’Editoria della solidarietà. E’ una bella idea. Tu intuisci l’impossibile. Sergio scattaci una foto. Qui accanto a questo quadro. Bene, mi hai per sempre. Tu fai l’amore con l’invisibile, ecco perché soffri. L’amore è carne. L’amore è voragine. Quanto diventa spirito, impazzisci di eterno. Tu rompi il tempo, non per navigare nel naviglio, ma nei sogni orribili che crea l’universo. Questo mazzo di rose sul tavolo me lo ha mandato quel giovane innamorato di me. Non ti preoccupare. Non ho mai tradito nessuno. Poi ti racconterò di quel barbone che ho tolto dalla strada e mi ha tradito. Se n’è andato. E’ stato troppo sgarbato. Irriconoscente. Quanto aiuto d’amore si dona nella vita. Un egoista senza amore. Va’ a Palermo e porta ai tuoi ragazzi quest’albero di Natale. Nel suo canto è la mia anima. Nelle sue pallide luci la mia poesia. Va’ e torna presto. Tanti entrano qui da me e poi non tornano più. Non è così per te. Quello lassù continua a urlare. Non si stanca mai. Appena sente qualcuno scendere le scale. Riprende subito a urlare la mia anima. Su, scendi, prima che ti assalga. Non lo faccio uscire più da quei macigni del soffitto”.

Alda mi manchi. So però dove trovarti. Ogni volta che entro nella tua “Imagine della mia anima”, io ti vedo e sento forte la tua presenza. Alda abbracciami ora il tuo Cristo innamorato, nel tuo poema dell’amore.

 

Paolo Turturro

 

 

progetto: SoMigrafica 2009