Vincenzo Noto

 

 

Chi non cambia è perduto

 

L’esperienza personale e lo scorrere degli anni dovrebbero insegnare che nessuno è indispensabile nel mondo e principalmente nella vita della Chiesa. Più di qualcuno in questi giorni sembra lo abbia dimenticato. In quasi tutte le Diocesi questo è il tempo delle nuove nomine dei vescovi per l’avvicendamento di parroci e di altre responsabilità sociali ed ecclesiali.  Nella Chiesa non si può stare comodamente facendosi ognuno i “propri affari” (leciti o meno che siano). Questo principio  -  lo diciamo senza esagerare – vale per laici, preti, religiosi e vescovi. Per tutti nella Chiesa certamente deve risaltare la misericordia, ma ciascuno è chiamato a mostrarsi sempre pronto, con responsabilità e ragionevolezza,  per il bene degli altri. Non si resta quindi  nella Chiesa per fare carriera o per trarne vantaggi economici propri o per i propri parenti. Nella Chiesa - che è di Gesù Cristo – si deve essere disponibili a cambiare città, responsabilità, sistemazione, compagni di viaggio. Chi non vuole cambiare deve “fermarsi” e conseguentemente domandarsi chi e che cosa sta inseguendo. Resistere ed opporsi a un cambiamento/trasferimento - se non motivato da malattia o da un impegno specifico e grave – non è senz’altro segno di maturità umana e spirituale. Diciamolo ancora meglio: non si può “utilizzare” la madre Chiesa per cercare unicamente compensi e vantaggi per sé. Nella propria vita è indubbiamente faticoso mantenere il dono della libertà e della trasparenza interiore. Ma senza libertà e onestà non si vive davvero, ci si perde in una autentica “prigione” esistenziale dove gli altri non contano o se ancora sono presenti risultano soltanto dei complici-pedine interessati alle ingiustizie e alle invidie che si stanno mettendo in pratica. Il canone 1748 del Codice di diritto canonico afferma:  “Se il bene delle anime oppure la necessità o l'utilità della Chiesa richiedono che un parroco sia trasferito dalla sua parrocchia, che egli regge utilmente, ad un'altra o ad un altro ufficio, il Vescovo gli proponga il trasferimento per iscritto lo convinca ad accettare per amore di Dio e delle anime”. Questa “regola” ecclesiale  ci ricorda chiaramente che per il credente l’unica ragione valida di comportamento in ogni occasione è  di far tutto “per amore di Dio e delle anime”. Ogni altra motivazione o rivalsa per il nostro modo di agire e di pensare è fuori da ogni logica evangelica. Solamente quando agiamo per dare lode a Dio e per l’amore concreto ed efficace per le persone, siamo sulla strada giusta. La nostra fragilità ed imperfezione non ci devono mai scoraggiare o farci chiudere in posizioni estreme di contrapposizione, di ricatto e di abbandono di ogni forma minima di rispetto e di collaborazione. “Deboli e peccatori lo saremo sempre, - lo affermava giustamente il Vescovo di Vicenza il 6 giugno scorso -  ma questo fa parte della natura umana, che nemmeno la grazia di Dio può impedire del tutto. Ciò che conta è che, malgrado i nostri limiti e miserie umane, resti intatta la potenza che, come in vasi di creta, ci è stata consegnata: quella di portare agli uomini la salvezza di Cristo, di renderlo veramente presente nell’Eucaristia, di donare il suo perdono ed offrire la possibilità concreta di incontrarlo nella sua Chiesa”.  In questo nuovo pastorale che stiamo iniziando,  non ci dimentichiamo che come cristiani,   non siamo padroni della fede ma soltanto collaboratori della gioia di ognuno.

Francesco Fiorino

 

 

 

 

progetto: SoMigrafica 2009