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LORETO 1985 ovvero LA MARICIA di ROMA

 

Nel 1985 ero parroco, ancora giovane a Villabate e impegnato in diverse commssioni pastorali diocesane. Si celebrava in primavera il convegno delle Chiese d'Italia a Loreto. Chiaramente per mettere l'Italia intera, che sembrava avesse superato le prove orrende del terrorismo e della mafia, complice la Chiesa che non aveva lesinato funerali solenni e omelie di fuoco sull'uno, come sull'altro versante.

Le attese di tutta Italia erano impregnate di tensione e avevano come spina dorsale la speranza di un ulteriore balzo in avanti della Chiesa nel suo cammino di conversione verso una riconciliazione cristiana nei confronti della comunità degli uomini. Le relazioni centrali del convegno furono quelle del teologo Bruno Forte, allora docente di teologia sistematica alla Facoltà teologica dell'Italia Meridionale, e del cardinale Pappalardo, Arcivescovo di Palermo.

Due lezioni magistrali non solo per la profondità della dottrina, ma anche, se non soprattutto, per l'apertura di prospettive veramente nuove e di vastissimo respiro.

Mentre Bruno Forte ripercorse la breve, ma intensissima e fecondissima, storia della recezione del Concilio Vaticano II in Italia soffermandosi sui piani pastorali degli anni '70 e '80 e soprattutto sullo spirito con cui la Chiesa si poneva nei confronti del mondo, calcando in profondità il suo bisturi teologico sul rapporto strutturale Trinità-Chiesa;  Trinità -Comunione, e dettando i criteri del riunirsi delle Chiese con atteggiamenti di ricerca e di volontà di crescita, piuttosto che nel collocarsi al centro in attesa di interpellanze e di chiarezze da esprimere.

La relazione di Pappalardo esordì invece con estrema chiarezza sulla necessità di porsi di fronte al mondo in spirito di umiltà e di ascolto, ma anche di richiesta di perdono e di riconciliazione, per le distanze tenute e per mancanza di comprensione per i suoi drammi e le sue angosce.

Più che una relazione, quella di Pappalardo rappresentò un trattato prezioso di teologia pastorale, la stesura di un progetto, il tracciato profetico di un itinerario, il rilancio della presenza della Chiesa nel mondo come "compagnia memoria e profezia".  Vi si trova di tutto: la bellezza della ministerialità ecclesiale,

anche laicale, il rapporto fra carisma e vocazione, il rinnovamento delle parrocchie, la comunione tra i preti e con il Vescovo, la dimensione missionaria, i giovani, il ruolo della donna, l'Ecumenismo in prospettiva dell'Unione europea.

E poi le varie sfaccettature dell'esercizio della Carità. Pappalardo concludeva il suo discorso allargandosi alle ragioni della speranza e ai grandi valori da promuovere. Tutti attendevamo che la visita di Giovanni Paolo II riprendesse le istanze che nel Convegno erano emerse ed erano state espresse. Niente di tutto ciò. Il Papa fece un suo discorso molto parzialmente aperto, assai evidentemente orientato a chiusure e prudenze, soprattutto come punta d'iceberg di una Chiesa tutt' altro che alla ricerca e con la volontà di dialogo con il mondo. La struttura culturale di un Pontefice sicuro di sé e pronto a riconquistare il mondo alla Chiesa venne subito fuori, specialmente nel momento in cui avocò a sé la nomina del Presidente dei Vescovi italiani, nella figura del cardinale Poletti  che si discostava per cultura e mentalità da giganti come Martini, Ballestrero, Pappalardo...  Cominciò allora l'autunno della Chiesa italiana. E fu subito inverno: un ventennio di lacrime e sangue: laicato mortificato, liturgia con tentativi pesanti di restaurazione, rapporto Chiesa -mondo interrotto, a parte le pletore di giovani e l'accoglienza ai vari governanti, il lusso e il carrierismo, l'amicismo nelle scelte pastorali, le chiese trasformate in musei. ..E poi il silenzio. Tanto silenzio. Non il silenzio, beninteso, della contemplazione e del colloquio con Dio perché ci suggerisca le vie della Croce e

del servizio, ma il silenzio di fronte alle malefatte del mondo, nel timore che il mondo ci possa lesinare le sue ricchezze.

Non la Chiesa conciliare che cammina fra le consolazioni di Dio e il confronto con il mondo, ma una Chiesa che elemosina dal mondo le piccole ricchezze del mondo, perché allergica alla povertà che Cristo abbracciò liberamente e per amore, dimentica che il vero Cristo, sulla terra, è quello nudo inchiodato e solo e che il suo trono non è la Sede, neanche quella santa del Vaticano. Ma la Croce. ..

 

Giacomo Ribaudo

giacomo.ribaudo@fastwebnet.it

 

 

 

 

 

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