Vincenzo Noto

 

 

 

CONTABILI DA RETROBOTTEGA, L’EUROPA CHE FA VERGOGNARE

 

 

I primi mesi di quest' anno sono stati ricchi di eventi che potrebbero segnare una svolta storica nei paesi che ci sono ,vicini, sull' altra sponda del Mediterraneo. Ma l'Europa è rimasta inerte, incapace di interpretarli, di dare serie risposte. il ciclone che sta sconvolgendo il mondo arabo ci lascia senza parole, o idee. Ignoriamo come si concluderà, se prevarranno le componenti dell'islam più tradizionale, o si apriranno nuove prospettive. Non sappiamo quasi nulla. Anche i grandi analisti geo-politici evitano di proporre proprie interpretazioni, timorosi di essere smentiti dai fatti del giorno dopo. Il mito delle "primavere arabe", che nella Libia in stallo di guerriglia cronica ha il suo nodo più soffocante, è stato confiscato a giustificazione dell'intervento armato e ne ha rivelato, fin dall'inizio, la natura disastrosa. L'alba dell' Odyssey Dawn è già al crepuscolo. L'imposizione di una no fly zone contro gli eserciti di Gheddafi, legittimata moralmente dall'Onu, si è purtroppo risolta in una serie di bombardamenti aerei disordinati, privi di coordinamento e di coerenza sul piano strategico e nella struttura delle alleanze. L'immagine degli occidentali nel loro insieme ne è uscita danneggiata.

Il senso di frustrazione cresce, se guardiamo alla Libia, dove passano le settimane, aumentano le distruzioni. Quasi un oscuro senso di colpa ci impedisce di dire che l'intervento sembra fondato più sui vecchi egoismi europei che sui veri intenti umanitari. Certo, esistono fasi storiche complicate, il mondo arabo ha una sua proverbiale complessità. E non sempre, quando iniziano, si intravedono gli esiti delle rivolte.

Però un fatto fa soffrire più degli altri: il silenzio dell'Europa, che pensavamo potesse diventare un soggetto politico e strategico capace di promuovere i diritti umani, i valori della democrazia e del pluralismo, attorno a noi e in ogni parte del mondo. Questo progetto è fallito clamorosamente. Oggi siamo spettatori di un fluire della storia senza protagonisti, constatiamo che ogni stato continua a coltivare i propri interessi, senza dir nulla agli altri, né offrire sponde a chi vorrebbe cambiare davvero la realtà. La vicenda della tibia e degli immigrati è diventata per certi aspetti sconcertante. Prima un lungo silenzio, poi l'intervento armato sollecitato da chi sognava antiche glorie militari, infine l'impantanamento di "grandi potenze" che non sanno più che cosa fare, salvo chiamarsi tutte fuori dal dramma dell'immigrazione...

 

Vascello di appestati

Ma che razza d'Europa abbiamo costruito? È possibile vergognarsi dell'Europa? Della civilissima Europa, della culla della tolleranza, del sogno di un'unica grande nazione con comuni radici culturali, di quel mosaico di stati finalmente pacificati dopo due conflitti mondiali e milioni di morti, il cui traguardo più nobile e insieme più esaltante è (o era) lo spazio di Schengen, incommensurabile conquista etica in un continente candidato a non avere mai più frontiere interne? Speriamo di no.

Sul drammatico fenomeno dei migranti e profughi nordafricani si è largamente speculato in ogni direzione, vuoi amplificandone a dismisura la portata catastrofica (per numero di arrivi e per impatto sociale che avrebbero sul territorio), vuoi brandendoli come spauracchio. Ma al di là delle frasi di circostanza, l'Europa non ha fatto altro che considerare questi poveri migranti come un vascello di appestati da tenere alla larga dalle mura fortificate del. continente. È quella stessa Europa che - pur nel guazzabuglio politico e diplomatico nel quale è usa navigare, dove ciascuno si muove in ordine sparso e spinto da interessi e pressioni interne che nulla hanno a che fare con la politica estera comune della quale l'Unione europea dovrebbe farsi carico - ha impiegato molto meno tempo ad adottare l'opzione militare. Come dire, bombe sì, profughi no. Un'Europa dove, giova ricordarlo, dalla Francia alla Danimarca, dal Belgio alla Svezia, dall'Ungheria alla Finlandia, dall'Olanda all'Italia s'indovina lo strepito sempre più rumoroso delle destre xenofobe, e sotto traccia la palpabile paura dei governanti di perdere consenso se non ne inseguono gli umori. Valga per tutti il cinico commento di un diplomatico inglese: «Ogni immigrato che passa è un voto in meno ai governi moderati». Eccola qui, finalmente, la ratio, la chiave di questa contabilità da retrobottega, che si nasconde dietro solidarietà fumose e inconsistenti: paura di perdere potere e consenso. Una miopia politica che si avvicina alla cecità.

 

Parlare a una sola voce

Eppure non sarebbe impossibile per l'Europa parlare con una sola voce, almeno sulle questioni crociali. L’Europa può ben chiedere ai paesi del Mediterraneo di dare spazio a riforme di tipo democratico, affermando i diritti umani fondamentali, civili e politici, la libertà religiosa e di espressione, offrendo un'intensa collaborazione politica ed economica a chi sceglie questa strada. Si può affrontare il fenomeno dell'immigrazione come grande questione europea, concordando le misure per il sostegno all'economia dei paesi d'origine degli immigrati di questi mesi, per il rimpatrio di alcuni di costoro e, quando possibile, per l'accoglienza degli altri nei vari paesi. Sono misure praticabili e sagge, che impegnano a distribuire equamente i costi e a rinsaldare un senti- mento comune di appartenenza tra i popoli che compongono l'Unione.

Un'Europa che dicesse e realizzasse queste cose, si dimostrerebbe un vero soggetto politico, di respiro planetario. Figlia disperata di un'impotenza che sta sotto gli occhi di tutti è invece la tentazione di uscire dall'Europa, compiendo un errore peggiore delle difficoltà e delle resistenze che si incontrano oggi. Meglio, molto meglio, chiedere alle istituzioni europee di essere fedeli ai propri compiti e agli impegni assunti da decenni, stabilire i do- veri di corresponsabilità di ciascuno stato, per far pesare sul proprio territorio e a livello internazionale la propria capacità di dissuasione, intervento, contrattazione. Ma per fare ciò occorre un'identità europea, che non sia solo minimalista e mercantile.

In questa contingenza di inizio millennio sembra cambiato lo sguardo. Ci ha contagiati uno sguardo impregnato di nichilismo, di speranza in caduta libera, un pensare che la nostra fatica finisca nel nulla. In questo orizzonte c'è però una voce forte che si leva ogni domenica da San Pietro. E che poco prima di Pasqua ha concluso una lezione sulla santità aggiungendo, a braccio, poche appassionate parole, capaci di spiegare' che c'è una santità umile, nascosta, cui tutti i credenti sono chiamati. Ha esortato a non aver paura tendere verso l'alto, a "essere come tessere" nel gran e mosaico che Dio va creando nella storia. È l'eco di a sfrontata speranza, tesa come un filo nei millenni, tra i nostri mille dolori. Quella speranza che, fra invasioni barbariche, e pesti, e guerre, tuttavia ha costruito la nostra storia.

 

Vittorio Nozza

 

 

 

 

progetto: SoMigrafica 2009