Vincenzo Noto

 

 

CHI ANDRA' PER ME…?

 

E’ rimasta sola la figlia di Sion, come una capanna in una vigna, come una tenda in un campo di cetrioli, come una città assediata.

Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato qualche superstite, già saremmo come Sodoma, assomiglieremmo a Gomorra" (Isaia 1,8-9).

 

Di fronte a una descrizione così desolata della vigna di Dio con cui Isaia inizia il suo poderoso e impareggiabile libro profetico, è facile che la mente corra a quell'altra pagina stupenda del medesimo Testo biblico, la visione del capitolo 60 con cui Dio, nella maestà della sua gloria, si domanda: "Chi manderò e chi andrà per noi"? Isaia risponde generosamente: "Eccomi, Signore, manda me"!

Qualsiasi operaio della vigna (Vescovo prete o diacono; vergine o vedova consacrata, frate suora monaco/a o membro di un istituto secolare; catechista lettore o accolito; ministro/a della Comunione o operatore della Caritas; impegnato sul fronte culturale o esperto mediatico; educatore dell'infanzia o dei giovani o curatore degli interessi degli immigrati; animatore vocazionale, collaboratore sul fronte missionario o versato nel campo dell'amministrazione ecclesiastica; sensibile ai problemi sociali o politico per scelta e per vocazione...) ha iniziato sempre con entusiasmo a servire Dio lavorando nella sua vigna, ma non sempre ha. continuato con il medesimo entusiasmo.

La parabola evangelica oggi bisognerebbe rinarrarla diversamente. Non più con il padrone della vigna che chiama in diverse ore della giornata e poi distribuisce il compenso di un denaro a testa, ma con il padrone della vigna che chiama ed è costretto a rendersi conto che, a ogni ora, gli operai assunti che porta sono numerosi, ma pure numerosi sono coloro che aveva ingaggiato qualche ora prima e non trova più perché si sono stancati e si sono ritirati, rinunciando al compenso e tornando sulla piazza o sulla strada a oziare o a giocare a carte.

E si tratta del meno peggio. Perché alcuni rimangono entro i confini della vigna e, non solo non lavorano o fingono di lavorare, ma giocano a carte o stanno a bighellonare da una punta all'altra della vigna sfottendo chi lavora o addirittura rubando e consumando le loro provviste o sparando a qualche capo di selvaggina...

Torna a presentarsi la scena descritta da S.Agostino del pastore che, anziché pascere con amore le sue pecore, le tosa per rubarne la lana o le squarta per fame scempio a suo consumo.

Anche noi un giorno più o meno lontano (per me sono passati quasi quarantatre anni) abbiamo detto il nostro generoso e convinto: "Eccomi, manda me".

Ma l'ostacolo più grave per continuare con la stessa generosità non è stata la durezza del terreno, la scarsezza degli strumenti di lavoro, l'invasione della filossera o della peronospora, l'assalto dei ladruncoli, la veemenza della grandine, la gelata primaverile...

È stato invece il lassismo dei colleghi di lavoro, il loro scarso attaccamento alla vigna e, soprattutto, al padrone della vigna, il permissivismo dei campieri, l'assenteismo dei guardiani dell'acqua, il menefreghismo perfino dei curato- li e dei maggiori fiduciari del Padrone.

Chi vorrà andare a zappare o a passare il trattore e l'aratro, a potare o a spruzzare lo zolfo, se i sorveglianti dormono o si circondano di dormienti?

Chi vorrà lottare contro i lupi, se gli ispettori amano vesti sontuose, palazzi da principi e mense da satrapi, piuttosto che tute e macchine agricole, forbici per sfrondare e coltelli da innesti, la gelida frescura del condizionatore che non il picco del solleone e la violenza degli improvvisi acquazzoni?

Sono tre, in questo momento storico, le priorità assolute, se la Chiesa dovrà tornare ad essere (e potrebbe non esserlo?) la casa direzionale, o quantomeno di orientamento, per il cammino del mondo: la formazione dei futuri preti e dei futuri diaconi (che sognino campi assolati e strumenti di lavoro e non carte per giochi da usare nei palazzi); la formazione e la cura attenta e vigilante delle famiglie (quelle che ancora restano e quelle che si sfaldano e tentano di ricostituirsi...); la formazione accurata dei futuri politici che abbiano il senso dell'etica e l'amore alla gente...

I pastori (e per pastori non intendo solo vescovi e preti, ma quello che intendono i profeti della Bibbia, cioè coloro -i primi i politici -che hanno responsabilità) devono tornare a stare tra la gente e ad amare ciò che la gente ama.

Se non vogliono sentirsi dire: Guai! dal Divino Pastore e non vogliono rubare il sostentamento che la gente, con sacrifici enormi, loro consente...

 

Giacomo Ribaudo

 

 

 

progetto: SoMigrafica 2009