Vincenzo Noto

 

 

 

LA SORGENTE E I FRUTTI

 

La famiglia e i giovani

 

 

 

La pace di Cristo

regni nei vostri cuori, fratelli e sorelle!

 

1. L’anno pastorale che inizia va considerato come il coronamento del cammino percorso in questi anni. I temi e le riflessioni che hanno accompagnato i nostri passi ci hanno fatto guardare la realtà ecclesiale e ci hanno suggeriti i comportamenti opportuni per “comunicare il Vangelo in un mondo che cambia” (CEI). Ci siamo mossi  dalla “Mensa” eucaristica, luogo sicuro d’incontro e di maturazione spirituale della comunità e di ciascuno dei suoi membri. Sono stati delineati i lineamenti che le parrocchie avrebbero dovuto acquisire per rispondere alle necessità odierne[1]. Ahimè, è stato fatto un vero cammino di rinnovamento nelle nostre comunità? È stata percepita l’urgenza e il dovere del cambiamento di mentalità, di atteggiamenti e di scelte pastorali?

Mi rendo conto che in queste direzioni vi è tanta strada da fare; e si è sempre in ritardo rispetto al processo di cambiamento della cultura e della società che impone un modo “nuovo” di evangelizzare, un “nuovo” entusiasmo nel presentare e vivere le verità. Non dobbiamo però scoraggiarci e pensare che siano percorsi superati quelli indicati. Non è così! Essendo punti essenziali del cammino di fede, non sono soggetti al cambiamento e rimangono validi per sempre e per tutti. Pertanto bisogna procedere avanti, per farli entrare nello stile di vita di ogni comunità e di ogni giorno. Il cambiamento che tocchi il cuore e la novità del pensare e del vivere: questo è ciò a cui dobbiamo tendere. La “conversione” segna l’arrivo del tempo della salvezza per ciascuno: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1, 15). Conversione, non di un momento, ma atteggiamento di tutta la vita.

 

2. Ora, dall’incontro con Cristo alla “Mensa”, “fonte e culmine della vita cristiana” (Vaticano II), volgiamo la nostra attenzione a un’altra “mensa”, che ci ha visti riuniti da sempre e da dove ognuno di noi ha iniziato i suoi primi passi: quella della famiglia. Una “mensa”, attorno alla quale ogni famiglia si riunisce e alla quale tutti dobbiamo fare riferimento, perché ha dato lo stile di vita alla nostra esistenza.

 

 Leggiamo nel Vangelo ciò che è avvenuto attorno a una “mensa” durante una festa di nozze:

Ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno vino”. E Gesù le rispose: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora”. Sua madre dice ai servi: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”.

Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: “Riempite d’acqua le anfore”; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: “Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto”. Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva di dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua - chiamò lo sposo e gli disse: “Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono; tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora”.

Questo a  Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù: egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui” (Gv 2, 1-11).

 

Il racconto ci fa capire come Gesù sia entrato nella storia normale degli uomini per santificarla dal di dentro e renderla capace di essere rivelatrice di grande realtà.

“A Cana fu l’inizio dei segni”. “L’inizio”, perché non ve ne erano stati altri prima; o perché è il fondamento su cui si basano tutti gli altri? Sembra proprio così! Cana e i momenti descrittivi della festa di nozze sono la rivelazione  del progetto divino: il Padre celebra col Figlio le nozze con l’umanità. La presenza di Maria è determinante: lo è stato per dare un corpo umano e finito al Verbo divino; lo è perché Cristo inizi le manifestazioni della “sua gloria” e perché i suoi discepoli “credessero in lui”. Le nozze del Figlio con l’umanità, rendono possibile l’evento miracoloso affidato alle nostre azioni comuni, se facciamo “qualsiasi cosa [Egli] ci dica” (ib).

 

3. Grandi cose Cristo ha consegnato alla famiglia: la realtà del cielo da vivere nella quotidianità dell’amore umano. Gli sposi, infatti, nell’atto della celebrazione del matrimonio, attingendo personalmente la vita divina si santificano e se la consegnano reciprocamente. Con questa capacità ministeriale permangono per tutta la vita, perché ogni gesto sia segno della tenerezza divina che accoglie, purifica, redime, rende splendente.

 

L’Apostolo Paolo ha considerato l’amore degli sposi sulla misura e sulle modalità vissute da Cristo nei confronti della Chiesa. “Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo. Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa,  poiché siamo membra del suo corpo” (Ef 5, 21-30).

 

Cristo a mensa

 

4. È costante nel Vangelo il riferimento alla “mensa”. Questa per Cristo è il luogo dell’insegnamento più diretto alle persone[2]; il tempo privilegiato della misericordia[3], la celebrazione della pasqua e della “sua ora”, con l’esempio sublime della carità e il dono dell’Eucaristia[4], l’annunzio delle realtà finali. “Io preparo per voi un regno, come il Padre mio l’ha preparato per me, perché mangiate e beviate alla mia mensa, nel mio regno” (Lc 22, 29-30).

 

Nella Dedicazione dell’Altare la Chiesa recupera tutte le verità storiche e teologiche che il popolo di Dio ha sperimentato e nella preghiera solenne ci fa pregare: “E ora ti preghiamo umilmente, Signore, avvolgi della tua santità questo altare eretto nella casa della tua Chiesa,perché sia dedicato a te per sempre come ara del sacrificio di Cristo e mensa del suo convito, che redime e nutre il tuo popolo. Questa pietra preziosa ed eletta sia per noi i1 segno di Cristo dal cui fianco squarciato scaturirono l'acqua e il sangue fonte dei sacramenti della Chiesa. Sia la mensa del convito festivo a cui accorrano lieti i commensali di Cristo e sollevati dal peso degli affanni quotidiani attingano rinnovato vigore per il loro cammino. Sia luogo di intima unione con te, Padre, nella gioia e nella pace, perché quanti si nutrono del corpo e sangue del tuo Figlio, animati dallo Spirito Santo, crescano nel tuo amore. Sia fonte di unità per la Chiesa e rafforzi nei fratelli, riuniti nella comune preghiera, il vincolo di carità e di concordia. Sia il centro della nostra lode e del comune rendimento di grazie, finché nella patria eterna ti offriremo esultanti il sacrificio della lode perenne con Cristo, pontefice sommo e altare vivente” (dal Pontificale romano).

 

5. La Mensa eucaristica e la mensa di famiglia sono due realtà essenzialmente diverse, ma ordinate tra loro: la prima è pensata da Cristo per incarnarsi, “fare nuove tutte le cose” dal di dentro della realtà umana, consegnandoci l’energia pasquale che ci fa vivere la “novità” della risurrezione; la seconda, attinge dalla prima grazia e vigore, per qualificare la propria vita e la propria fede e riconoscersi come “chiesa domestica”. Il matrimonio come l’altare, è una cattedra, da dove si impartono lezioni di vita, da dove si legge insieme la realtà e dove ci si esercita nello scambio delle idee. È anche un altare, dove si pongono e si offrono i sacrifici della vita, le difficoltà della vita in due, della reciproca comprensione, dell’accoglienza, del perdono, il donarsi per essere a servizio l’uno per l’altra. Il matrimonio è ancora una mensa dove si celebra la comunione ininterrotta dei cuori, delle scelte, della gioia del camminare uniti.  Nel canto del Prefazio della Messa per la dedicazione dell’altare la Chiesa ci fa pregare, tra l’altro, con questa espressione: “Alle sorgenti di Cristo, pietra spirituale, attingiamo il dono del tuo Spirito per essere anche noi altare santo e offerta viva a te gradita” (dal Pontificale romano).

 

A tavola ogni famiglia modella la propria vita di comunione; a tavola s’impara a vivere insieme e nella serenità; a tavola tutti imparano le scelte esenziali che aprono il cuore alla condivisione, le privazione per non rovinare l’armonia; si cresce e si gioisce per la concordia dei sentimenti e per la comunione di vita che generano; si impara l’umiltà e il servizio a favore degli altri.

 

Come sarebbero diversi i nostri discorsi a tavola, i giudizi sulle persone, sulle scelte pastorali, sulle proposte operative, se le conversazioni e le visioni maturate nelle nostre mense, familiari o fraterne, tenessero conto del valore redentivo dell’incontro conviviale! I commensali, oltre a vivere un momento sereno di amicizia, si sentirebbero chiamati a svolgere quel ministero di misericordia e di redenzione affidato a ciascuno.

   

6. Gli atteggiamenti di Gesù con i commensali, durante l’incontro conviviale, sono di grande esempio:

 

“Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto. […]Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: “Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13, 3-5. 12-15).

Continuando l’insegnamento della serata, Gesù aggiunge: Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15, 12-15).

 

Nel dono dell’amicizia che il Signore realizza con ciascuno di noi, soprattutto nell’incontro sacramentale, vi è la trasmissione delle stesse capacità divine. Agli sposi che hanno ratificato il loro amore ai piedi dell’altare, viene partecipata nel sacramento la capacità stessa di amare “come lui ci ha amati” ; e perciò, è dato un amore capace di santificare, redimere, edificare, glorificare.

 

 

A mensa maturano i frutti

 

7. Ogni giorno, abitualmente ci ritroviamo a mensa, in famiglia. È una necessità, non solo fisica, ma soprattutto spirituale. Anche chi svolge lontano dalla propria casa il proprio lavoro, ritrova attorno alla mensa di casa quell’aria che lo rigenera. A pranzo e a cena si formano e si intensificano i legami di fiducia, di reciproco rispetto, di amore, di stima; nascono i progetti più concreti per il domani e per il futuro prossimo. È un appuntamento obbligato che costruisce e matura la famiglia.

 

Attorno alla mensa la famiglia gioisce per i frutti nati. Gioisce ancora per la loro crescita. Per questa parte del tema, mi piace riprendere le riflessioni di Franco Giulivo Brambilla, apparse nel La Rivista del clero Italiano, n. 4, 2010, pp. 246-262.

 

Il dono della vita è il primo grande dono. È il miracolo che avvia la nostra esistenza personale. “Occorre tornare sempre a questo miracolo originario. Dare la vita è un atto di grande amore, anche quando non è desiderata. La vita talvolta può essere solo procurata. Ma una volta concepita, essa lascia il tempo per essere attesa e volu­ta. Quando nasce il bimbo, esso è sempre benedizione, fa sentire i genitori amministratori di un dono più grande, e non padroni della vita. Noi l'abbiamo voluta e desiderata e, quando può capitare che sia solo venuta, essa va sempre scelta e voluta. E deve essere considerata come un dono grande prima per noi, un modo con cui sperimentia­mo la carezza di Dio che ci sfiora con la sua mano”. Come sanno bene coloro che non riescono ad avere figli. Questa è l'origine dell'educa­zione, questa è la sorgente inesauribile della difficile arte di educare. A questa Origine occorre sempre tornare nei momenti di difficoltà educativa: il Signore ci ha fatto il dono di dare la vita!” (ib. p. 251)

 

Il dono della vita viene alimentato, custodito, fortificato a mensa. Non basta generare. La vita che nasce bisogna accompagnarla con la dedizione piena e l’attenzione amoroso. Il cibo è il primo alimento: accompagnato da tutti i gesti e le tonalità di voce dell’amore, si gusta e si ricerca fino a imparare a cercarne un Altro assai più nutriente ed essenziale che fa bene allo spirito. A tavola s’impara ciò che è bello a vedersi e buono a mangiarsi, ciò che è ordinato e rasserena, ciò che è sgradevole e disturba. A tavola si impara a leggere la vita, con l’esperienza di papà e mamma, con il racconto delle realtà vissute dai grandi. Quante norme necessarie di comportamento ci sono state dettate a tavola, fin dai primi giorni di vita! Anche giocando e con voce suadente. Quanta serenità nell’accoglierle; quanta verità nel poterle sperimentare!

 

8. L’intimità della casa. Collocare la vita donata dentro uno spazio protetto è una grazia. Tutti abbiamo bisogno di sentirci accolti, custoditi, difesi. Il bambino poi ha anche bisogno di saper definire lo spazio che scopre e lo circonda; ha necessità di riconoscere le persone che abitano accanto e lo amano: come la mamma, il papà, i fratelli, i parenti intimi. Nella serenità dello spazio familiare il bambino riesce a scoprire e a vivere la interiorità. Sarà il tempo delle costruzioni di storie fantastiche dove lui è il protagonista. Senza casa o senza intimità serena della famiglia si cresce disadattati; non si acquista la capacità di guidare rettamente i propri sentimenti che resteranno privi di quella interiorità che permette di aprirsi serenamente agli altri e al mondo con progetti e propositi costruttivi.

 

Anche noi grandi abbiamo bisogno di collocare la nostra esistenza nell’intimità della casa e nella certezza di poterci sedere a tavola con gli altri membri della famiglia. Ci è necessaria la possibilità di riprendere le energie, non soltanto fisiche, ma soprattutto morali e spirituali. La strada, l’ufficio, il posto di lavoro non possono offrire tutte quelle ricchezze spirituali sane e tonificanti che la casa offre per l’intensità di amore che la sorregge e la qualifica. Tutte le tensioni accumulate durante il giorno trovano nella intimità della casa, comprensione, conforto, sostegno, aiuto a riprendersi ed eventualmente a riparare. Dovrebbe essere così. L’amore ci è dato per il continuo “miracolo” di risurrezione che nella casa deve compiersi.

 

 

9. La famiglia ci assicura gli affetti puri e sinceri. Nel bambino che si apre alla vita sono assicurati dalla comunione di amore di papà e mamma. Tutti e due devono assicurare la tenerezza e la fortezza dell’amore che educa, accompagna, corregge, gioisce. È grande e benefica l’atmosfera familiare determinata dagli affetti sereni, rispettosi e puri. Ci si sente continuamente rigenerati e rasserenati. Fuori casa spesso si respira un’aria pesante e insicura; a volte manca anche la sincerità dei rapporti; ci si deve guardare attorno per non essere coinvolti malamente in situazioni indesiderate. Gesù raccomanda di essere “semplici come colombe e prudenti come serpenti” (Mt 10, 16).

 

Per il bambino ancora, “la prossimità dei fratelli è decisiva per completare la rete degli affetti, perché nella fraternità di casa si sperimenta che l'amore non si divide, ma si moltiplica, anzi si triplica per il fratello che ha più bisogno, il disabile, il debole, il malato, lo svantaggiato. Così si fa giorno per giorno 1'esperienza che il papà e la mamma amano totalmente me e il mio fratello, che l'amore non è una torta che si divide, ma un cesto di pani e pesci che si moltiplica. E che l'altro fratello non è un concorrente, uno che mi limita, ma uno per cui lo spazio della casa si allarga, si dilata. Solo così domani può dilatarsi fino ai confini del mondo. In sintesi: fiducia nella vita, responsabilità del futuro, apertura al mondo, sono i tre doni trasmessi dall'atmosfera degli affetti”[5].

 

10. Nella famiglia nasce la parola, si scopre, si esercita, si consolida. L’origine dell’uso della lingua viene attribuita all’azione materna. Si dice infatti: di “lingua madre”. Quante parole ha sentito il bimbo ancora nel grembo materno! E come è stato preparato a vedere la luce e a sentire le parole usate, il loro tono, i sentimenti che attraverso la voce si trasmettono! Dalle ginocchia della madre e dal seggiolone, prima di avvicinarsi al tavolo dei grandi, inizia la scuola del dialogo: la mamma esprime i suoi sentimenti di amore e il bambino reagisce, prima sorridendo poi modulando suoni che vogliono dire relazione, gioia, affidamento, desiderio di vita. A tavola si costruisce col dialogo, il più diverso per argomenti, tensione, umori, l’intimità della famiglia, l’intensità degli affetti, il futuro di ogni comunità famigliare. È il tempo più sicuro per la presenza di tutti e per la condivisione delle notizie e delle idee. La mensa di casa è la prima palestra per gli ulteriori incontri che trovano attorno al tavolo e al cibo lo spazio e il tempo di lavoro. 

 

11. La fede è il dono prezioso che anima il cuore dei genitori e li accompagna a saper vedere la loro vita come una missione e la vita della loro famiglia come “chiesa domestica”. La fede ci fa vedere ogni cosa con lo sguardo di Dio, dona sicurezza alla parola, purifica continuamente gli affetti, rasserena ogni giorno l’ambiente, illumina e conferma il senso della vita. “La fede non sembra aggiungere nulla ai doni dei genitori, così come la luce solare non sembra riem­pire la casa di cose diverse. Ma senza la luce (del sole e della fede), la casa, la vita, gli affetti e le parole si spengono e perdono di colore e calore. La fede è il colore e il calore delle cose, e la fede in Dio è la presenza invisibile ma reale (come la luce!) della tenerezza e della prossimità di Dio, di cui i genitori dovranno essere gelosi custodi e instancabili dispensatori. La fede è come la corona, lo splendore, il nutrimento di speranza, di cui oggi c'è bisogno come il cibo e le cose che diamo ai nostri figli. Senza speranza, il cibo, il vestito e le cose (forse le troppe cose di cui è piena la casa... ) sono solo oggetti che si corrompono e invecchiano; con la fede quel cibo, quel vestito, il mondo delle cose e degli affetti, rivive come nell'aria frizzante della primavera. I gesti della fede, la preghiera, il dire grazie, il lodare, il Natale, la Pasqua, il compleanno, la fatica, la sofferenza, persino la morte, sono l'intermi­nabile nutrimento per una vita sensata e una vita buona. Una vita che alimenta lo spirito e il corpo, che illumina l'oggi e il domani, che sfida il tempo e il male, in una parola che apre alla speranza” (ib. p 253).

 

Offrire un cibo sostanzioso

 

12. La tavola di famiglia deve far crescere il desiderio di un cibo sostanzioso: il dono della vita deve presentarsi con un senso, l’intimità della casa deve saper rispettare il diverso e seguirlo fino a giusta maturazione, gli affetti devono essere accompagnati per esprimersi con propositi seri, rispettosi della dignità della persona, capaci di prepararsi alla vita, la parola deve essere vera e deve conoscere i toni della sincerità e della confidenza illuminata e accogliente, la fede deve saper dare risposte ai tanti interrogativi che tormentano l’animo giovanile e adulto.

 

La famiglia, dunque, deve prepararsi a dare un cibo nutriente alla fame di autenticità e di crescita spirituale profonda, avvertita dai giovani. Oggi, infatti, in tutti è vivo il bisogno della formazione. Il cammino deve essere pensato sulle orme del viaggio fatto dai discepoli di Emmaus assieme a quello sconosciuto che si è unito a loro e che hanno riconosciuto allo spezzare il pane. Erano sconvolti per tutto quello che era successo a Gerusalemme sulla sorte del Nazareno e avevano perso la speranza. Gesù si affianca loro, senza farsi riconoscere. “Spiega le Scritture” e mostra perché il Cristo “doveva morire per entrare nella sua gloria”. Raggiunta la casa dove erano diretti, vollero che lo sconosciuto restasse con loro, perché era sera. Si misero a tavola. “Allo spezzare del pane si sono aperti i loro occhi”. Lo riconobbero. Era il Risorto. Si ricordarono che mentre parlava per via “ardeva loro il cuore” (cfr Lc 24, 13-35). La Scrittura è la chiara testimonianza del volto di Cristo; ci fa ardere il cuore e ci svela il senso della nostra vita. Leggerla o ascoltarla con religioso atteggiamento è un prezioso nutrimento dell’anima.

 

13. La missione delle famiglie cristiane è questa: annunziare il Cristo risorto, portatore di salvezza. Lo devono narrare con la vita. Ai genitori il compito di mostrarlo ai figli con la loro vita. Un impegno che non può essere eluso o delegato ad altri.

Un papà ha raccontato un giorno la sua esperienza famigliare. Si era accorto che il figlio cominciava a fumare. Smise per primo lui; poi fece richiamare il figliolo da uno zio con cui il ragazzo aveva confidenza. Voleva anche che il figlio tornasse a casa la sera, non molto tardi. Perciò lui, finito il lavoro di ufficio, rincasava subito. Diceva: mio figlio sa a che distanza è casa dal mio posto di lavoro e quanto tempo occorre per rientrare per tornare. Chi l’ascoltava gli fece notare che questo era un grosso sacrificio. Ed egli rispose: “Questo significa amare”!

 

L’essere padre o madre comporta tanti sacrifici e privazioni, ma quando si fanno per amore, non si sente il peso, perché si è certi del beneficio concreto che ricade come bene per i figli, per la famiglia stessa.

 

14. È vero che il momento in cui viviamo non è semplice. La famiglia non ha più il sostegno della società, né il pensiero comune è attento ad aiutare chi è in difficoltà perché venga superata la crisi. A fianco a questa situazione generale, altre si aggiungono assai diffuse, da mettere in difficoltà la serena valutazione della famiglia originale e autentica. Così il “farsi una nuova vita”, vedere le coppie di fatto, le famiglie mononucleari, le coppie omo, disorienta a tal punto da non saper riconoscere dov’è la verità.

 

Ci chiediamo: Dio ha proprio abbandonato l’uomo a se stesso? Il suo volto continua a essere quello di un Padre misericordioso? Sarà possibile intraprendere la via del ritorno, fino all’abbraccio di riconciliazione? Sono interrogativi che tormentano seriamente l’animo di tutti. Gesù ci fa capire che lo sguardo e l’amore di Dio si sono manifestati negli occhi e nei gesti di quel padre che ha seguito il figlio allontanarsi dalla casa, perché voleva vivere la vita come la pensava lui; e sono rimasti immobili a fissare quella strada, con la certezza nel cuore che un giorno il figlio sarebbe ritornato. “Quando ancora era lontano - sulla via del ritorno -, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”[6].

 

Gia nelle Parrocchie o a livello di Vicariato ci si impegna nella preparazione al matrimonio. Ma è necessaria una maggiore attenzione per aiutare e illuminare in ordine alla maturazione della persona e del rapporto di coppia. Ogni persona è totalmente diversa dall’altra e permane in alcune forme caratteriali che non si riesce a superare o a migliorare, pur avvertendone con sofferenza i limiti e i disagi che si determinano. Allora nell’altra persona deve svilupparsi un supplemento di comprensione e di amore, per far sì che il rapporto rimanga in equilibrio. Il beneficio sarà grande per tutti.

 

Aiutati dalla Pastorale familiare, ogni Comunità offra un tempo di accoglienza, di ascolto, a coloro che per ragioni e per circostanze da loro valutate, con sofferenza, vivono una situazione non regolare, per non sentirsi allontanati dalla Chiesa, esclusi e giudicati. Chi sa quante volte nel loro cuore rileggendo la situazione personale, hanno avvertito il desiderio simile a quello della “cerva” dei salmi “che anela ai corsi d’acqua”. Incontri sereni di ascolto della Parola di Dio, di preghiera e di festa, possono aprire il cuore alla verità e a quella consolazione che solo lo Spirito può dare.

 

Guardare nel cuore del giovane

 

15. In questo anno abbiamo potuto constatare in Diocesi che i giovani hanno veramente una grande sete di Cristo e sanno rimanere in preghiera silenziosa e prolungata dinanzi all’Eucaristia. Da Lui, fattosi Pane per noi, si sentono attratti. Dinanzi alla sua presenza, al suo silenzio, alla piena accoglienza offerta a tutti, senza differenze, restano incantati. L’esperienza degli incontri di preghiera silenziosa per i giovani, fino a notte inoltrata, lo testimonia.

 

Madre Teresa di Calcutta diceva: “Se ai giovani chiedete poco non danno nulla; se chiedete tutto, danno tutto”. Ed è vero. Le Associazioni di volontariato hanno a tal proposito una lunga storia di testimonianza. I giovani prestano il loro servizio, anche in terra straniera, con grande dedizione e gioia. Sentono che la loro vita si realizza pienamente nel donarsi agli altri. Sono capaci di grandi sacrifici; ma devono essere accompagnati. La resistenza dell’ambiente, la non testimonianza dei grandi, le loro critiche e il loro sospetti ingiustificati, li delude e li scoraggia.

 

Anche se è difficile riprendere il “tono” della famiglia, perché sia testimone della “novità” portata da Cristo, è possibile. Il percorso della preghiera più motivata e nutrita di Parola di Dio, il cammino di comunione dei genitori, l’umiltà e la pazienza nella crescita, la certezza e la consolazione di essere costantemente “guardati” dall’amore misericordioso di Dio, rende possibile metterci sulla buona strada[7].  

 

16. San Paolo parlando ai cristiani di Roma suggerisce una regola preziosa per resistere al male che li circondava e da dove erano usciti: “Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera” (Rm 12, 12).

Le raccomandazioni dell’Apostolo, riletta pensando alla situazione giovanile e al mondo che ci circonda, aiuta a orientare la pastorale per far maturare nei giovani i doni della saggezza e della vigilanza, l’amore alla preghiera e la frequenza ai sacramenti.

 

Lieti nella speranza. Tanto pessimismo si registra nel mondo dei giovani e la precarietà nello studio, negli affetti, nel lavoro; e, nel campo della fede, è la crisi più profonda del nostro tempo. Offrire una speranza certa, visibile e sperimentabile è la sfida da portare avanti.

I luoghi di aggregazione giovanile devono diventare “mensa” di accoglienza, dove la diversità dei commensali non è un limite, ma una possibilità per intraprendere le strade della condivisione e della riconciliazione. I giovani devono ricevere in consegna dai diversi Centri educativi, la speranza che non lascia in attesa di tempi migliori, ma annuncia la certezza di poter vivere qui ed ora la novità e il cambiamento.

Il Signore, per mezzo dell’Incarnazione, salva, forma e conforma a Lui. Nulla è perduto; nessuna vita è “sbagliata”. Ciascuno di noi è amato di un Amore eterno e gli viene data in dono la fiducia per il presente ed il futuro. Con Lui si può ricominciare sempre il cammino buono.

 

Costanti nella tribolazione. La ricerca della felicità si incontra e spesso si scontra, con il mistero della sofferenza. Nella vita di un giovane essa non va banalizzata, né affrontata con risposte severe o silenzi imbarazzanti. Neppure si può rimanere indifferenti. I ragazzi e i giovani devono sapere che la sofferenza ha un senso e può diventare offerta d’amore; che non può essere eliminata dalle vicende degli uomini, ma che neppure ci impedisce di essere liberi, autentici, felici. Essa non ci priva dell’amicizia di Gesù e della bellezza interiore che ci appartiene, perché siamo riflesso di Dio, fatti da Lui a sua “immagine e somiglianza”. Abbiamo esempi splendidi di giovani che hanno affrontato la malattia, il dolore e la morte con una serenità edificante. Sono esempi luminosi per tutti che ci invitano a non perdere la speranza e a non ribellarci.

 

Inoltre, senza figure educative formate alla “Scientia Crucis” che nasce dalla contemplazione del Cristo, “un tutt’uno con la croce”, i giovani resterebbero con le comuni difficoltà che rischiano di schiacciarli o ritardarne una serena maturità. Gesù, il Maestro, modello di ogni educatore, non si preoccupa tanto di spiegare l’origine del male, ma si fa prossimo ad ogni persona e, nella concretezza storica, si offre come possibilità di reintegrazione dell’umano offeso, diminuito, sofferente. Egli ci rivela che la risposta autentica ad ogni sofferenza è l’amore. Paul Claudel ha fatto notare che: «Dio non è venuto a spiegare la sofferenza: è venuto a riempirla della sua presenza»[8].

 

Perseveranti nella preghiera. Solo chi sa stare in ginocchio può mettersi in piedi. È bello far percepire ai giovani che l’occupazione prioritaria di Gesù è stata la preghiera. Il dialogo con il Padre è stato per lui essenziale. Non poteva farne a meno. Allo stesso modo per noi: la preghiera e l’ascolto della Parola che salva, devono avere un posto privilegiato nella nostra vita. Troppe iniziative per i giovani rischiano di diventare vuoti eventi che non formano cristiani adulti e credibili. Bisogna saper rischiare con i giovani, vincendo la tentazione di “annacquare” il Vangelo per non perderli. Educare i giovani alla preghiera è vitale. Significa abituarli all’ascolto, al confronto con Colui che è Via, Verità, Vita, alla fiducia dei “piccoli”, all’umiltà, alla mitezza. Scorgere in ogni tappa della crescita umana, un Dio che vede più lontano di noi stessi e che provvede, è cammino di fede. Senza preghiera non si va lontano.

 

La reazione dell’apostolo Pietro di fonte alla “pesca miracolosa” è significativa. Avvertì la distanza tra il Maestro capace di compiere opere mirabili e lui “peccatore”. Ma Gesù lo rasserena: era venuto per qualificare  la nostra vita in maniera totalmente nuova: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini” (Lc 5, 4-11).

 

Le realtà parrocchiali giovanili devono diventare vere e autentiche scuole di preghiera. Per questo non si possono improvvisare le figure educative. È necessario formare educatori dalla fede forte che, anche se segnata da difficoltà, è trasfigurata dalla preghiera. Il giovane si rende conto se accanto a lui c’è un educatore che trasmette Vita o uno che ripete parole imparate a memoria.

 

17. Il Signore Gesù non è estraneo alla vicenda umana e alle prove che ogni uomo deve affrontare nella vita. La Lettera agli Ebrei ce lo ricorda più volte, esortandoci ad avere fiducia e a cercare in Cristo l’aiuto necessario per affrontare e superare le prove.

 “Poiché dunque abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il  Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della nostra fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno” (Eb 4, 14-16).

 

E poco dopo la stessa Lettera ci ricorda:

 

“Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono in lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono” (ib. 5, 7-9).

 

È bene che i giovani vengano educati a confrontarsi con la “tribolazione”, facendo loro sperimentare esperienze concrete di prossimità, ospitalità e solidarietà. Questo diventa scuola di carità, bisogno di preghiera, invito a saper trasformare in offerta spirituale le prove e le sofferenze fisiche e interiori.

Nella nostra diocesi non mancano le “mense” della carità, rivolte verso diverse realtà di gente sofferente (Case famiglia, Carcere, luoghi di prima accoglienza, cura degli ammalati ecc.). È possibile, pertanto, indirizzare i singoli giovani o in gruppo ad imparare a dare concretezza all’amore, avvicinandosi e mettendosi al servizio di chi soffre. Si accorgeranno di essere strumenti validi dell’Amore divino che avvicina l’uomo che soffre. E sarà vera gioia.

 

I passi fatti e da fare

 

18. Lavorando in sinergia con l’Ufficio Diocesano per la Pastorale Familiare, il Servizio Diocesano per la Pastorale Giovanile e gli altri uffici, si è avviato da un anno un Progetto triennale che tende a tradurre concretamente una crescita formativa dei giovani, sotto l’indirizzo dello slogan “Che tutti siano uno”[9].

Imparare e coltivare tra i giovani la logica dell’unità è un passo coraggioso e decisivo per tutta la nostra Chiesa diocesana, un cammino che richiede certamente i tempi e la pedagogia della parabola evangelica del seme che incontra le difficoltà inerenti alla sua crescita. In realtà è accogliere quanto il Signore ha chiesto al Padre per noi, impegnandosi con la sua stessa vita (cfr Gv 17).

 

Nell’anno pastorale 2009-2010 conclusosi, si è vissuto il primo momento del Progetto, dedicato alla dimensione ecclesiale: “Essere Chiesa”. Tantissimi giovani, segno di grande speranza, hanno risposto alle proposte educative diocesane ed ai diversi momenti celebrativi di preghiera organizzati per loro. Si sono scommessi nello studio del Concilio Vaticano II e della Dottrina Sociale della Chiesa, attraverso l’originale esperienza dei “ChiesaLab” (La “Chiesa” sperimentata e vissuta nella condivisione dei Laboratori), unica nel suo genere a livello nazionale. Hanno lavorato “in rete” in progetti tra parrocchie disponibili a scommettersi. L’esito è stato quello di avere aiutato i giovani a camminare insieme, con semplicità e determinazione, sentendosi protagonisti in una Chiesa che diventa per loro: comunione, casa accogliente, luogo della missione per essere “fuori” sentinelle del mattino che annunciano con entusiasmo un Dio-con-noi.

 

Le diverse forze diocesane, impegnate nella Pastorale giovanile, dalla esperienza del primo tempo del Progetto, hanno iniziato a vivere lo spirito di “famiglia” e, con comprensibile fatica ed entusiasmo, servono i giovani della nostra Diocesi. Essi sono: il Coordinamento degli Oratori, per la cura dei piccoli e degli educatori; il Gruppo Giovani Evangelizzazione che porta il Vangelo, ad intra e ad extra, nelle Scuole, per le strade, nei pub, annunciando ai giovani, loro coetanei, la Parola invitandoli a sperimentare il beneficio dell’ascolto e la gioia della riconciliazione; il Gruppo di Animazione “En Archè” che, attraverso il canto, l’animazione, la clawneria e il teatro, è strumento di aggregazione creativa e cristiana per molti giovani di diverse parrocchie; il Movimento Giovanile Missionario che aiuta i giovani ad educarsi ad una vita solidale ed equa nella sensibilità alle terre di missione.

 

È bello poter registrare dopo un anno, con gratitudine al Signore, il beneficio di questo cammino di Pastorale Giovanile a servizio delle parrocchie, dei gruppi, delle associazioni e movimenti per una Chiesa giovane e viva dentro le nostre città.

 

L’anno pastorale che viene, 2010-2011, vedrà il secondo momento del Progetto che ha come tema la Spiritualità. La Pastorale Giovanile aiuterà i giovani, attraverso le iniziative e le proposte indicate nel Vademecum, a riscoprire la spiritualità cristiana, come offerta di “acqua viva” e risposta alla “sete” d’amore del Cristo. La sottolineatura della vita sacramentale sarà il leit motiv del cammino che i giovani percorreranno. Si concluderà con il gemellaggio con la Diocesi spagnola di Astorga e la Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid.

 

Pronti per partire

 

19. Si presenta davanti a noi un cammino intenso ed entusiasmante. Maturare interiormente non è stare fermi. È crescere in profondità e in altitudine, secondo le dimensioni senza confini che lo spirito ci permettere di raggiungere: la preghiera, anche solo mentale, verrà a consolidare la nostra giornata e a illuminare la nostra dedizione; l’ascolto della Parola riempirà di consolazione e di certezze il nostro animo; lo scambio delle esperienze ci farà crescere nella comunione e ci farà sperimentare la gioia nel constatare le meraviglie di Dio; la vita di qualche figura di spirito[10], darà al cammino la nota singolare della spiritualità che accresce il tono e la maturità spirituale della nostra fede.

 

Il Convegno Pastorale di settembre ci ha consegnato diversi motivi di speranza e ci ha offerto validi obiettivi per il nostro cammino. La vita delle Comunità e la vita di fede personale non hanno soste né attese umane. Vivono in una continua risposta alla chiamata divina che invita alla fiducia, all’amore filiale, alla carità operosa, alla santità. Volgiamo quest’anno lo sguardo con attenzione alla famiglia e ai giovani dai quali ci vengono rivolte urgenti domande. E andiamo avanti.

 

Affidiamo questo nostro itinerario al Cuore di Maria, nostra Madre. Lei conosce le nostre necessità, apprezza la nostra retta intenzione nel volere essere veri discepoli del suo Figlio, valuta le nostre possibilità, guarda il nostro zelo e la nostra dedizione, accoglie le nostre preghiere. Saprà intercedere per noi perché ci sia data una nuova effusione dello Spirito e le grazie necessarie per una fedeltà sincera. La Vergine Madre, venerata da noi in Sicilia col titolo di “Odigitria”, ci indica il cammino sicuro: Gesù Cristo, Via, Verità, Vita.

 

Assieme al ricordo nella preghiera, la mia benedizione raggiunga voi tutti.

 

Acireale 1 ottobre 2010

 

                                                                                   


 

[1] La parrocchia: “Uniti a mensa e col grembiule, per dare il “volto missionario”, a “una comunità accogliente” che trova nella “centralità della Diocesi” il suo fondamento e la sua ragione di esistere, che cammina con stile “sinodale”, attenta a prepararsi alla “emergenza educativa”. Queste le tematiche fondamentali che hanno scandito gli anni del nostro camminare insieme

[2] Nella casa di Levi (Lc 5, 29-32); da Simone, uno dei farisei (Lc 7, 36-50); a Betania (Lc 10, 38-42); in uno dei capi dei farisei (Lc 14, 1-24); In casa di Simone il lebbroso (Mt 26, 6-13; Mc 14, 3-12; Gv 12, 1-8).

[3] Nella casa di Simone (ib); in casa di Zaccheo (Lc 19, 1-10)

[4] Nell’ultima cena (Mt 26, 26-29; Mc 14, 22-25; Lc 22, 14-20; Gv 13, 1-38)

[5] Brambilla, op. cit., p. 252.

[6] Lc 15, 20. È bene leggere tutto il capitolo 15 e il brano del “figliol prodigo” per intero per rendersi conto delle delicatezza del cuore del Padre espresse nel racconto.

[7] Sono interessanti e utili per le famiglie e per le coppie le riflessioni offerte da Gregorio Vivaldelli in Immagini di coppia nella Bibbia, San Paolo, 2° ed 2004.

[8] H. Mondor, Claudel plus intime, Paris 1960, 38.

[9] Vedi: Servizio Diocesano per la Pastorale Giovanile - Acireale, “Che tutti siano uno”. Indicazioni e criteri per il cammino triennale di Pastorale Giovanile, Acireale 2009.

[10] Le Comunità parrocchiali e i Gruppi potranno scegliere un Santo per l’anno pastorale e conoscerne meglio la vita. Per esempio: S. Giovanni della Croce, S. Teresa d’Avila, S. Paolo della Croce, San Vincenzo dei Paoli, S. Teresina del Bambino Gesù, S. Camillo de Lelllis, Beato Giacomo Cusmano, Beata Madre Teresa di Calcutta o altri maestri di spiritualità.

 

 

progetto: SoMigrafica 2009