Vincenzo Noto

 

      

 

 CHIESE DEL SUD E SVILUPPO

 

A venti anni dal documento della Chiesa italiana sul Mezzogiorno, la Chiesa del Sud si è interrogata nel corso di un convegno celebrato a Napoli alla presenza degli stati generali delle comunità ecclesiali. Pubblichiamo uno stralcio degli interventi così come sintetizzato da Aggiornamenti Sociali di maggio, la prestigiosa rivista diretta da padre Bartolomeo Sorge.

 

 

Le prospettive pastorali

Il primo atto di una comunità cristiana - come il Dio dell'Esodo, come Gesù - è quello di «lasciar parlare il dolore e ascoltarlo». Non dall'esterno, ma con una prossimità che implica la presenza: «La presenza nei luoghi di sofferenza e di conflitto comporta con-sentire la sofferenza delle persone, con-patire nel senso sopra indicato e prendersi cura». La capacità di ascolto e la prossimità devono coniugarsi con la franca denuncia delle responsabilità di chi prevarica i poveri: «Se la situazione di molte regioni del Sud appare disgregata, disumana, ingiusta, occorre individuare e denunciare le responsabilità di chi genera o mantiene questo stato di cose». È necessaria la profezia. Le Chiese del Sud, dunque, devono essere capaci «di udire il grido dei poveri e degli umiliati, di esigere la giustizia, di annunciare la liberazione». Su questa base, il passaggio fondamentale dev’essere quello «da una pastorale difensiva e conservatrice a una pastorale profetica e creati va». Ma «una Chiesa può essere profetica solo se è povera, è la povertà che rende possibile il coraggio della profezia» (Greco).

«Ciò comporta un nuovo modo di essere Chiesa nel Mezzogiorno, che privilegi un modello comunionale-partecipativo e diaconale-operativo, per il quale la partecipazione attiva e la comune responsabilità all'interno si coniugano con l'impegno storico e il servizio ai poveri e agli ultimi all'esterno» (Greco). «Le Chiese del Mezzogiorno non potranno pienamente contribuire alla nascita di una nuova cultura, realmente alternativa all'egoismo e al particolarismo degli interessi privati, se non saranno all'altezza del proprio mistero di comunione. Da qui potrà nascere la loro capacità di essere luoghi di aggregazione e di creare spazi di scambio e di cooperazione anche sul piano culturale, sociale, civile» (Savagnone).

Non bisogna però dimenticare che «la ricostruzione del tessuto istituzionale regionale e locale suppone l'assunzione della laicità come stile ecclesiale» (Pajno). Ciò si dovrebbe tradurre in una precisa valorizzazione del laicato cattolico. «Il laico è infatti costitutivamente chiamato, in quanto partecipe di ordini diversi senza esaurirsi in nessuno, alla fatica del dialogo e alla sfida della comunicazione; può così progressivamente trasformare la testimonianza in progetto storico, aperto anche a chi non condivide l'opinione della fede religiosa» (ivi).

Laicità deve però significare anche consapevolezza, da parte dei cattolici, che il bene comune da costruire «è frutto di una comunicazione». Esso non si identifica con un ideale assoluto, ma «corrisponde a un giudizio storico, al bene possibile in un determinato momento, ed è tale perché ha attitudine a divenire comune» (ivi). «Si delinea così un impegno fondamentale per le Chiese e per i cristiani del Sud: lavorare per formare la coscienza religiosa [. ..] e per trasfor-marla e tradurla in coscienza civile, in un progetto di cambiamento della propria vita personale e sociale» (ivi, p. 34).

Emblematico del contributo che le Chiese possono dare al Mezzogiorno, superando nei fatti, e non solo a parole, le tre grandi distorsioni della società meridionale, è il Progetto Policoro1[1]. Esso «rappresenta infatti un esempio di impegno pienamente laico, in cui il Vangelo fa sentire la sua presenza non all'interno del tempio, ma nella vita economica e sociale di un popolo, senza però per questo rinunziare mai alla propria identità. Rappresenta, al tempo stesso, un atto di speranza nel futuro, di fiducia nella storia del Meridione, perché punta sui giovani e non in modo assistenziale, ma rendendoli protagonisti del loro riscatto e di quello della loro terra. Infine, costituisce un bell'esempio di comunione tra le Chiese italiane e di sinodalità» (Savagnone).

Per quanto significativo, però, il Progetto Policoro è pur sempre una singola iniziativa. Non ci si può illudere di risolvere il problema cosi. È necessario «un modo nuovo di essere Chiesa, di gestire le comunità parrocchiali, la vita delle associazioni, dei gruppi e dei movimenti, lo stile delle diocesi [...]. Bisogna rimettere in discussione e cambiare il nostro stesso modo di essere» (ivi).

«In questa prospettiva una priorità si impone su tutte, quella della formazione» (ivi). «L'opera educativa e formativa sembra la sola scommessa strategica possibile per una presenza diversa di Chiesa» (Greco). Quanto al programma, bisogna che «l'identità si trasformi in coscienza religiosa e questa si traduca progressivamente in coscienza civile e in progetti di mutamento della storia civile» (Pajno). Questa strategia deve avere come obiettivo «l'educazione della coscienza religiosa all'impegno civile: alla responsabilità verso il bene comune, al senso civico, alla solidarietà sociale, al rispetto della legalità, all'impegno politico nelle istituzioni» (ivi). Ma ciò comporta, a monte, una presa di coscienza delle implicazioni del Vangelo. Per questo bisogna lavorare a «evangelizzare profondamente la religiosità popolare meridionale, favorendone il passaggio da un sacro rituale a una religione dell'incarnazione e della responsabilità nella storia» (Greco).

Ma tutto ciò deve avvenire nella realtà quotidiana delle parrocchie e delle associazioni. Se ciò non accadrà, «non saranno i documenti ufficiali né i convegni - neppure questo che stiamo celebrando -a cambiare le nostre Chiese e non saranno, di conseguenza, le nostre Chiese a cambiare il Meridione. Delle scelte si impongono. Se non vogliamo che tra vent'anni altri debbano trarre il bilancio degli effetti di questi nostri discorsi concludendo che nella realtà ben poco è cambiato» (Savagnone)

 

 


[1] Si tratta di un progetto nato subito dopo il Convegno ecclesiale nazionale di Palermo (1995), attraverso cui la CEI interviene nelle Regioni del Sud (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia) per aiutare i giovani disoccupati o sottoccupati a trovare la dignità di un'attività anche attraverso la forma cooperativa e la piccola imprenditorialità. Cfr www.progettopolicoro.it.

 

 

 

progetto: SoMigrafica 2009