Vincenzo Noto

 

 

CLANDESTNI COME EROI

 

Si possono legittimamente coltivare tutte le opinioni che un problema complesso suggerisce. E assumere tutte le decisioni consentite dalle leggi nazionali e dalle convenzioni internazionali. Ma quel che non si dovrebbe fare, è gongolare sulla pelle degli altri.

Le cronache del 7 maggio -giorno del primo respingimento verso la Libia, da parte della marina italiana, di un barcone di migranti africani - riportano che il ministro coi baffi è apparso esultante, comunicando alla stampa la notizia. "Una svolta», "un risultato storico», ha sentenziato il titolare del Viminale.

Ma, ci chiediamo, esultare si può? Respingere, forse - benché sia assai dubbio -, si può. Però bisognerebbe dar prova di umanità, anche quando si gioca (in periodo elettorale, che coincidenza!) l'arcigna partita della fermezza, della tutela dell'ordine minacciato dai poveri, della difesa del suolo patrio dall'invasione dell'orda clandestina.

Esultare, quando si riconsegnano uomini e donne e bambini al proprio destino di vittime della guerra, della negazione dei diritti umani fondamentali, della fame e dell'assenza di futuro, è sintomo di un pensiero recondito. Diffuso nel paese, a prescindere dagli entusiasmi dei ministri coi baffi. Il mio diritto a stare tranquillo -è come se si ammettesse -vale di più del diritto di un altro a vivere, quantomeno a sopravvivere. Perché l'altro, in definitiva, è una minaccia. Ed è meno umano di me. Se posso, gli faccio spazio. Altrimenti, che la sua sorte se lo porti nelle prigioni di un paese non proprio democratico, nuovamente tra le braccia della dittatura o della miseria da cui voleva affrancarsi, magari sui fondali di un mare.

Si obietta: tutto ciò che viola le leggi, compreso l'ingresso irregolare in un paese, va sanzionato. E su quelle barche viaggiano criminali, reali o potenziali. Sono ire argomenti da considerare, benché in Italia -paese le cui leggi, restringendo i canali regolari di accesso, "producono" clandestinità -si avverta piuttosto il bisogno di un governo dei flussi migratori che sia maturo, flessibile e capace di integrare, condizione imprescindibile per il sereno funzionamento di una società nei fatti multiculturale, e che ci auguriamo sempre più interculturale.

Ma il punto è un altro. Il punto è che, a furia di chiamarli clandestini, tendiamo a dimenticare che sono uomini. E, per di più, eroi dei nostri tempi. Viviamo in un'epoca che movimenta senza ostacoli, da un capo all'altro del pianeta, denari, merci e informazioni. Creando straordinarie occasioni di libertà e sviluppo, ma anche desolanti sacche di tirannia e sottosviluppo. Come vogliamo chiamare chi tenta di scavalcare le barriere che vengono opposte alla sua capacità di movimento, mettendo in gioco radici e affetti, traversando deserti e mari, rischiando la prigione e la morte, pur di garantire libertà, dignità, prosperità e futuro non solo a sé, ma anche alla propria famiglia e ai propri figli? Un eroe: non esistono molte altre parole. E comunque, un uomo.

Paolo Brivio (Scarp)

 

 

 

progetto: SoMigrafica 2009