Vincenzo Noto

 

 

 

NELLA SOCIETA’ E NELLA CHIESA

Lottare contro fatalismo e disfattismo

 

Ci sono due “seduzioni” ricorrenti che “attaccano” in profondità il cuore e la mente dei nostri contemporanei. Sono due “patologie” dell’anima che provocano conseguenze negative a partire dalla vita familiare a quella sociale e persino all’interno della Chiesa. Il primo è un atteggiamento assai diffuso nella mentalità delle persone che è il fatalismo. Esso si può cogliere in espressioni simili: «Mondo è, mondo è stato»; «Non si può far nulla»; «Non si può cambiare il mondo»; «Non c’è speranza», «Non c’è niente di nuovo sotto il sole», «Devi accettare la realtà». E ci fermiamo qui per motivi di spazio. Dal dizionario apprendiamo che il termine fatalismo deriva dal latino fatum ("fato", "destino"), ed esprime l'atteggiamento di colui che accetta ogni evento come necessario e inevitabile, in quanto frutto della volontà del “destino” al quale non si può sfuggire. Il fatalismo è proprio di quelle persone che implicitamente negano l’esistenza di Dio o non prendono con serietà le sue promesse. Senza dubbio il fatalismo manifesta una scarsa maturità e una insufficiente consapevolezza nel vivere la fede cristiana. Se “accetti le cose” passivamente o peggio ancora non ti lasci interpellare responsabilmente dai “fatti” più importanti e significativi, dimostri di non aver la fede necessaria per chiedere a Dio di cambiarli. Dimostri di non avere una forte relazione con il Signore e di non aspettarti nulla dal suo intervento provvidenziale e risolutivo. Il fatalismo porta quindi inevitabilmente ad un atteggiamento di pigrizia e di rassegnazione. La nostra mente e la nostra coscienza rischiano di trovarsi in un stato di “torpore” permanente. Tutto rischia di diventare “grigio” e insignificante (dal dialogo costruttivo nella propria famiglia all’incontro ecclesiale, dal più piccolo impegno sociale nel quartiere alla scelta dei nostri rappresentanti  nelle istituzioni politiche). Accettare passivamente ogni situazione come “volontà di Dio” è spesso una giustificazione e una scusa per chi non vuole ammettere le proprie mancanze e per non volere mettere in discussione il proprio vissuto esistenziale-sociale-ecclesiale. Sappiamo – e ringraziamo continuamente di questo il Signore – che le realtà cambiano se preghiamo (lasciandoci “plasmare”dallo Spirito di Dio) e se lottiamo con tenacia e passione creativa. Certamente questa “lotta” richiede un grande sforzo quotidiano e una capacità di “analisi” e di riflessione personale dalle quali molti si tirano indietro. Si comprende allora come il “fatalista” si riduca ad essere un “disfattista”. In questa persona prevalgono sentimenti di sfiducia e pessimismo. Si finisce per accettare come normale ogni tipo di ingiustizia, ogni tradimento e ogni sfruttamento della dignità umana. Si finisce per guardare solamente agli errori-limiti e i peccati degli altri per trincerarsi in un sterile comportamento di isolamento e di esclusiva “cura” delle proprie faccende. Come cristiani - sale e lievito nella “pasta” dell’intera umanità” -, come uomini e donne dotati di intelligenza e di coscienza critica, non possiamo farci “fermare” da coloro che si “abbeverano” giornalmente alle stagne acque del fatalismo e della sfiducia totale. Soprattutto dobbiamo cercare di “svegliare” coloro che, pur professandosi credenti, hanno forse smarrito il vero volto del Dio che sempre “osserva e ascolta” il grido e le legittime necessità del suo popolo. Insieme dobbiamo valorizzare i talenti che il Padre di tutti ci ha donato e far rifiorire in molti l’entusiasmo e la speranza.

 

Francesco Fiorino

 

 

 

progetto: SoMigrafica 2009