Vincenzo Noto

 

 

MOHAMED

Il deposito di bare

 

Palermo è una città di immigrazione: immigrati, profughi e stranieri arrivano, ormai, da diversi anni nel capoluogo siciliano e i palermitani si sono piano piano adeguati a questo fenomeno diventato parte integrante della loro stessa realtà.

Anche Mohamed, primo di quattro fratelli, ha compiuto un lungo viaggio dalla Tunisia, insieme alla sua famiglia, ed ora si trova a Palermo.

Il suo viaggio non è stato facile: Mohamed si ricorda ancora la piccola imbarcazione, per cui i suoi genitori avevano speso tutto quello che possedevano, che oscillava tra le onde del mare, mentre loro erano stipati nella stiva e non potevano neanche uscire per prendere una boccata d’aria. Mohamed ha ben chiari nella mente i tanti momenti in cui ha dovuto farsi forza e  consolare la sua sorellina Ines, di cinque anni, che tremava dallo spavento.

Quando la piccola nave aveva toccato terra Mohamed era tutto contento: l’incubo del viaggio era finito ed ora cominciava una nuova vita. I suoi genitori dovevano proprio essere disperati per aver venduto tutto in cambio di un viaggio così terribile. Adesso Mohamed sarebbe andato volentieri a scuola, avrebbe imparato a leggere e scrivere l’italiano, così da poter aiutare i suoi genitori per ambientarsi nel nuovo mondo.

Il ragazzo, però, non aveva fatto i conti con il suo destino, non sapeva ancora cosa veramente l’attendeva in quella nuova terra. Presto si accorse che mamma e papà faticavano a trovare un lavoro che permettesse loro di comprare una casa. Il signor Tarek, così si chiamava suo padre, trovò un posto come lavapiatti in una pizzeria: lavorava dalla mattina alla sera in cambio di una piccola paga che era appena sufficiente per sfamare la sua famiglia. Sua moglie riuscì a racimolare qualche soldo facendo qualche mestiere qua e là.

Mohamed, che ormai aveva dodici anni, capì che i suoi genitori da soli non avrebbero potuto farcela: abbandonò l’idea di andare a scuola, ora aveva problemi più importanti dello studio, doveva cercare di racimolare qualcosa da mangiare per sé e per i suoi fratelli.

Mohamed decise, anche, di recarsi alla chiesetta del quartiere, lui stesso aveva sentito dire che lì c’erano dei volontari che distribuivano alimenti alle persone in difficoltà. Pensò che nessuno era più bisognoso della sua famiglia: si fece forza e, accompagnato, come sempre, dalla sorella Ines, a cui faceva da babysitter a tempo pieno, entrò in chiesa.

In fondo, in una cappella laterale vi trovò un banco con degli alimenti ed alcuni volontari addetti alla distribuzione. Si avvicinò e, con il suo italiano poco perfetto, chiese qualcosa da mangiare per sé, sua sorella Ines, i suoi fratelli e i suoi genitori.

La volontaria fu colpita dai loro occhi supplichevoli tanto che scelse la miglior verdura dal tavolo, inserì nelle due borse anche delle confezioni di pasta e qualche scatola di biscotti.

Non era tanto sorpresa del fatto di vedere dei bambini chiedere alimenti, sapeva benissimo che molti genitori preferivano non mandare i loro figli a scuola per far svolgere loro alcune faccende domestiche, né tanto meno era sorpresa dalla nazionalità dei piccoli, aveva appreso che ottenere dei sussidi per l’immigrazione dalle istituzioni era come lottare contro i mulini a vento e che, quindi, presto avrebbe avuto sempre più a che fare con gli stranieri.

Ma quei due piccoli l’avevano colpita in modo particolare. Quando aveva consegnato loro le due buste si era accorta del grande sorriso che era comparso sulla loro faccia e rifletté sul fatto che lei, come tutti coloro che non lottano quotidianamente per la sopravvivenza, aveva smesso di sorridere davanti ad un tavola imbandita.

Scacciò dalla sua mente questo pensiero e vide Mohamed e Ines uscire dalla chiesa ed allontanarsi in uno dei vicoli del quartiere.

Per diverse settimane i due tornarono regolarmente al banco degli alimenti, accettando sempre quello che i diversi volontari inserivano nelle buste. Ogni volta Mohamed si preoccupava di ringraziare tutti per la loro generosità e faceva sempre i complimenti per il cibo donato.

Un giorno rincontrarono in giro per il quartiere la volontaria che avevano incontrato il primo giorno, la salutarono e lei si offrì di accompagnarli a casa. I ragazzi cercarono di reclinare l’invito, ma lei insistette talmente tanto che non ebbero scelta.

Mohamed, tenendo per mano Ines, le fece strada, entrarono in un piccolo vicolo e ad un certo punto, aprì la porta di quello che da fuori sembrava un garage. La volontaria rimase senza parole: davanti a lei vi era un deposito di casse da morto e in mezzo ad esse trovò i fratellini di Mohamed e Ines che giocavano per terra, la biancheria stesa appoggiata sulle bare con i pochi effetti personali del signor Tarek. Vide anche la verdura e le confezioni di pasta che aveva loro consegnato il giorno precedente.

Comprese all’istante, che in quel garage mancava completamente la cucina e che nessuno della sua famiglia aveva mai potuto cuocere pasta o verdura. Sentì un brivido attraversarle il corpo quando pensò a tutte le volte che Mohamed la ringraziò per il cibo, ne elogiò la qualità senza mai aver potuto assaggiare nulla. Solo allora capì come mai gli occhi di Ines indugiavano sulle confezioni di brioche o di biscotti che inseriva nelle borse: erano le uniche che poteva mangiare.

Non appena si fu ripresa Mohamed le spiegò che quella era l’unica casa che si potevano permettere al momento; suo papà con quello che guadagnava dal lavar piatti riusciva a malapena a pagare l’affitto di quel garage. In quanto alle bare, ormai loro ci avevano fatto l’abitudine, abitando lì da ormai quasi quattro anni. In fondo esse non davano poi così tanto fastidio, erano anche comode se si voleva fare un sonnellino. In fondo al garage Mohamed le mostrò il piccolo bagno di servizio del deposito; era talmente piccolo che ci stava una sola persona e si dovevano fare i turni per lavarsi. 

La volontaria si chiese chi fosse stato così senza cuore da farsi pagare l’affitto per quattro anni lasciando una famiglia con quattro figli in quelle condizioni e da subito pensò a come farli uscire da quell’orribile situazione.

 

Emanuele Contaldo

 

 

 

 

progetto: SoMigrafica 2009