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sequestro pescherecci

Il mare non può dividere

 

Il vescovo di Mazara del Vallo: risolvere la questione delle acque territoriali

 

Qualche giorno fa motovedette libiche nel Mar Mediterraneo hanno sequestrato tre pescherecci della marineria di Mazara del Vallo: Boccia Secondo, Maestrale e Antonino Serrato. Sabato 9 giugno i 19 marinai sarebbero dovuti essere rilasciati, mentre sono restati nel carcere a Bengasi. Intanto, il vescovo di Mazara del Vallo, mons. Domenico Mogavero sabato  ha incontrato le mogli dei tre comandanti dei pescherecci. Il presule, infatti, si è recato a casa di Manuela Pietrobono, moglie del comandante Gaspare Castano (“Maestrale”) e lì ha anche incontrato Antonia Gancitano, moglie di Francesco Di Giovanni, comandante del “Serrato”, Giovanna Ingargiola, moglie di Pietro Russo, comandante del “Boccia Secondo” e Elisabetta De Santis, moglie di Salvatore Gabriele, motorista del “Serrato”. Insieme alle mogli il vescovo ha incontrato anche gli armatori Piero Asaro e Maurizio Giacalone. A mons. Domenico Mogavero Gigliola Alfaro per il Sir ha chiesto come si sta vivendo questo difficile momento nella sua comunità.

 

Eccellenza, che aria si respira a Mazara del Vallo?

“Si respira un’aria di tanta incertezza e inquietudine. Si sperava che con l’abbattimento del regime di Gheddafi cambiasse il clima anche in mare e invece è già il secondo caso di sequestro di nostri pescherecci. C’è anche abbastanza turbamento: questi fatti continuano a verificarsi, dando in qualche modo la sensazione che non c’è ancora la soluzione del problema vero, cioè quello delle acque territoriali. Sembra, infatti, che i nostri fossero a circa trenta miglia dalla costa. Secondo il diritto internazionale è acqua internazionale e quindi libera per la navigazione da pesca, mentre per il governo libico tutto è rimasto come ai tempi di Gheddafi, cioè le acque territoriali sono state spinte fino a 72 miglia. Quando c’è un sequestro di un peschereccio c’è una reazione emotiva da parte dell’opinione pubblica; quando poi si risolve la questione, e speriamo che anche questo si risolva bene, ci si dimentica del problema. Nella speranza che nulla accada più o che si metta finalmente mano a questa trattativa di carattere politico e diplomatico”.

 

Lei anche questa volta ha chiesto al Governo e alla diplomazia di intervenire: ha avuto qualche riscontro in tal senso?

“Il Governo e le autorità diplomatiche hanno preso a cuore il caso e lo stanno seguendo in prima persona e in maniera molto assidua, ma certo non dipende solo dalla buona volontà delle nostre autorità diplomatiche o di Governo. Comunque, sappiamo che il nostro console generale in Libia è molto vicino, anche fisicamente, ai nostri uomini e non li abbandona a se stessi nelle diverse fasi di questa istruttoria. Le nostre autorità sono abbastanza ottimiste sul buon esito della vicenda, ma ogni ottimismo può essere di maniera fino a che non avremo i nostri uomini nel porto, liberi e insieme con le loro famiglie”.

 

Eccellenza, sabato ha incontrato proprio le famiglie….

“Le famiglie sono prostrate. Io ho incontrato le mogli dei tre comandanti dei pescherecci: tutte giovanissime, una di 28 anni, l’altra di 32 e la terza più o meno coetanea. Sono, perciò, un po’ impreparate all’urto di fatti di questa gravità e pericolosità. Stanno vivendo molto male. Io sono stato da loro per dire tutta la mia vicinanza, mi sono trattenuto a lungo in casa loro, con i bambini. C’è tanta preoccupazione e l’invito alla pazienza e alla preghiera è su base razionale, ma resta l’incertezza per lo sviluppo della vicenda, che purtroppo non si può risolvere nel giro di 24 ore. Speriamo che i giorni siano comunque pochi: le famiglie, che hanno tutta la mia solidarietà, rischiano, infatti, di scoppiare. Ieri sera, alla processione del Corpus Domini, ho invitato i fedeli alla preghiera per la soluzione del caso e alla vicinanza affettuosa alle famiglie perché sentano che c’è una città che vive con loro questo dramma”.

 

La comunità ecclesiale cosa può fare in vicende come queste?

“La comunità ecclesiale si unisce alla comunità civile alla ricerca di una soluzione che sia valida, soddisfacente e duratura e chiede che questo venga fatto con una priorità e con una urgenza pari al rischio che corrono i nostri pescatori che vanno in quei mari, non per diporto ma per guadagnarsi la vita”.

 

 

Per evitare che in futuro ci siano ancora casi del genere c’è ancora parecchio lavoro da fare?

“Sicuramente. In questo momento le due comunità, la mazarese e la maghrebina, sono unite nell’attesa e nella ricerca di una soluzione che è tutta nelle mani dell’autorità politica e diplomatica italiana. Ci sono diversi tunisini tra gli equipaggi dei tre pescherecci, per cui non è una questione solo italiana o mazarese, ma una questione di umanesimo mediterraneo che non può essere fatto per contrapporsi, dividersi o combattersi ma per l’incontro, il dialogo e la pace”.

 

Nella sua diocesi si fa tanto proprio per l’integrazione e il dialogo…

“Speriamo che tutto questo serva per riavvicinare gli animi e far sentire che le due sponde non sono l’una contro l’altra armata, la sponda Nord e la sponda Sud. In fondo, siamo abitatori di quello stesso mare e a questo stesso mare chiediamo benessere, lavoro e pace, possibilità di incontro e non di innalzamento di barriere che dividono e contrappongono”.

 

 

 

 

 

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