Vincenzo Noto

 

 

DIOCESI DI ACIREALE

S.E.MONS. PIO VITTORIO VIGO

 

Innestati all’Agnello

LETTERA AI SACERDOTI

 

Cari Sacerdoti,

 

1. Il Giovedì Santo ci fa rivivere l’atmosfera del Cenacolo, quando Gesù celebrò la Pasqua ebraica con i suoi discepoli. Ma in quello stesso giorno, al posto dell’agnello vi si è messo Lui, fattosi Pane, consegnando la sua vita Risorta che “toglie il peccato del mondo” e rinnova tutta la creazione (cfr. Rm 8, 14-39). In quella Cena, inoltre, ai discepoli sorpresi per i segni di umiltà compiuti dal loro Maestro e Signore, affidò la missione di ripetere i suoi gesti “in sua memoria” e di amarsi reciprocamente “come lui” secondo il suo esempio. Per questo, il Giovedì Santo noi sacerdoti lo sentiamo e lo viviamo come un giorno particolarmente nostro.

 

Nel cuore del Cenacolo

 

2. Non basta, però, ricordare e celebrare la “sua memoria”. L’Anno sacerdotale che da mesi viviamo, ci suggerisce di entrare pienamente nello spirito di quel “Giorno santo” per attingere la grazia che promuove “l’impegno d’interiore rinnovamento per una più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi” (Lettera ai Sacerdoti di Benedetto XVI).

La figura e l’esempio di San Giovanni Maria Vianney, proposta dal Papa nel 150° anniversario della sua morte, ci aiuta a rileggere la nostra vita sacerdotale e a considerare come questo santo ha saputo concretizzare nel suo ministero le esigenze evangeliche che ci conformano a Cristo Sacerdote e Vittima. È vero che il tempo e l’ambiente di oggi non sono quelli di ieri, ormai lontani; ma le scelte essenziali e di valido risultato sono possibili anche ai nostri giorni. Dobbiamo essere sinceri: è duro mettersi a pregare a lungo, a passare le ore nell’esercizio del ministero della riconciliazione, a dedicare il tempo alla catechesi e alla carità. Perciò facciamo di tutto, con buone ragioni, per evitarli o affidare i compiti a poco esperti..

 

“Il Sacerdozio è l’amore del cuore di Cristo”, soleva ripetere il Curato d’Ars. Così, la nostra vita (con i nostri sentimenti, le parole, le nostre azioni) deve rispondere alle richieste dell’ “amore del cuore”. Questo Giovedì Santo sarà occasione per vivere “cuore a cuore” con Cristo. Tutti i suoi gesti e le parole di quella sera, ci parlano di un amore sconfinato e commosso, espresso con umiltà, semplicità, gioia e ci mostrano la chiara volontà del Figlio a donarsi pienamente al Padre.

 

Le grandi consegne

 

3. Ripercorriamo insieme i momenti di quella Cena e facciamoli diventare per noi norma, luce e accorata richiesta dell’amore del cuore di Gesù.

 

Come Lui, Maestro e Signore, anche noi dobbiamo amare “fino alla fine”. Fuori della logica della fede e dell’amore puro, la nostra vita sacerdotale non si capisce e non si può vivere. Non possiamo, infatti, ritagliarci degli ambiti, per il nostro privato, senza dover dare ragione agli altri. Avere accettato il dono del sacerdozio, significa aprire le porte alla grazia e alla gente. L’ “amare fino alla fine” ci fa mettere in ginocchio dinanzi al nostro fratello. Non per ripetere un gesto rituale, ma per accogliere e sostenere il cuore dell’altro nella verità. Il comandamento nuovo, “amatevi gli uni gli altri” (Gv 15, 17), si coniuga con quanto Gesù ha detto ai discepoli, dopo aver loro lavato i piedi: “Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13, 13-15). Così, l’umiltà, il rispetto, il servizio, la condivisione del bene, diventano così la “liturgia” quotidiana dell’amore fraterno, la sorgente della comunione e della pace.

 

4. «Essere-per-gli-altri» è la conclusione della riflessione filosofica che esprime la natura della persona umana per la sua socialità. Alla luce del Vangelo, nell’espressione formulata dal pensiero umano, si riconosce anche la missione affidata dal Signore Gesù agli apostoli e quindi alla Chiesa. “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (Gv 20, 21). Nelle mani del Signore tutto ciò che è umano diventa strumento affidabile di evangelizzazione e di salvezza.

 

«Essere-per-gli-altri» è un compito che ci svuota, come ha svuotato il Figlio diletto fino alla croce; è una missione che non lascia nulla per noi, per farci gioire pienamente, ripieni di Dio, dell’amore donato. “Il sacerdote non vive per sé ma per voi”, diceva il Curato d’Ars ai suoi parrocchiani. E ancora: “Se noi comprendessimo bene che cos’è il prete sulla terra, moriremmo: non di spavento, ma di amore. […] È il prete che continua l’opera della redenzione. […] Il prete possiede la chiave dei tesori celesti…”.

 

La convinzione, poi, della sua missione e del dovere di salvare le anime, portava San Giovani Maria Vianney ad offrire la sua vita. Fin dall’inizio della sua missione parrocchiale ha pregato con questa preghiera: “Mio Dio accordatemi la conversione della mia parrocchia; accetto di soffrire tutto quello che vorreste per tutto il tempo della mia vita!”

 

Possiamo, allora, concludere: chi non si sa svuotare pienamente non gioisce. Se rimane qualcosa di noi e per noi, diventa focolaio di gelosia, di rivendicazione, fino a suggerire sentimenti di ostilità e di odio verso gli altri. Non mancano, purtroppo, testimonianze negative di questo genere.

Preghiamo il Signore perché ci liberi da simile sciagura. Non dimentichiamo di avere avuto affidata la Sorgente della misericordia. Poniamo ogni attenzione per non disperdere tanta ricchezza e la gioia legata al dono di sé per gli altri.

 

Come innesto fecondo

 

5. Il Signore per rassicurare i discepoli e noi che quanto ci chiede, anche se seriamente impegnativo, è possibile attuarlo, si propone con l’immagine della vite. Lui è la nostra linfa vitale: Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano” (Gv 15, 5-7). L’insegnamento è chiaro: siamo talmente uniti a Cristo da vivere della sua stessa vita. Il sacerdozio ministeriale e l’Eucaristia sono nati nella stessa Pasqua; si può dire, sono gemelli. Sono in relazione: se non avessimo il sacerdozio non avremmo l’Eucaristia. Ci sono per portare gli stessi frutti della vittoria sul peccato e della vita rigenerata dallo Spirito.

 

Due grandi amori principalmente hanno qualificato il ministero del Curato d’Ars: la misericordia di Dio e l’Eucaristia. Con il perdono dei peccati ha potuto ricomporre l’unione tra “il tralcio e la vite”; con l’Eucaristia ha alimentato l’afflusso della linfa in ogni anima.

Le ore trascorse per il ministero della riconciliazione, fino a 16 ore in una giornata, furono un “martirio”, ma permisero alla misericordia divina di trionfare. “Piango per ciò per cui voi non piangete”, ripeteva dinanzi alla mancanza di pentimento.

Nei riguardi dell’Eucaristia, poi, sentiva il trasporto particolare dell’innamorato. I biografi ci raccontano: “La sua felicità era di passare lunghi periodi del giorno e della notte in chiesa davanti al Santo Sacramento”. “Recitava il breviario sempre in ginocchio… posando lo sguardo di tanto in tanto sul tabernacolo, con un sorriso così dolce che sembrava proprio che vedesse Nostro Signore”. Teneva in grande considerazione la Santa Messa. “Tutte le buone opere riunite non equivalgono al sacrificio della Messa, perché esse sono opere di uomini, mentre la Santa Messa è opera di Dio”. Per questo, sentiva il bisogno di unire all’Eucaristia il dono quotidiano di sé: “Un prete – diceva – fa dunque bene ad offrirsi a Dio in sacrificio tutte le mattine!”.  “Le croci, affermava, ci uniscono al Signore, ci purificano, ci distaccano da questo mondo, liberano il nostro cuore da ogni ostacolo, ci aiutano ad attraversare la vita come un ponte aiuta ad attraversare un corso d’acqua”.

 

 

La forza della preghiera

 

6. Uniti a Cristo sarà vera ed efficace la preghiera: “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato” (Gv 15, 7). La nostra voce e la nostra vita si fondono con quella del Figlio diletto e acquistano la forza necessaria per saper bussare al cuore del Padre e ottenere.

“La preghiera libera l’anima nostra dalla materia – affermava il santo Curato d’Ars –.  Essa si eleva verso l’alto, come il fuoco che gonfia i palloni. Più si prega e più si vorrebbe pregare. E come un pesce che nuota alla superficie dell’acqua, poi s’inabissa e prosegue sempre più avanti. Durante la preghiera il tempo non è mai troppo. La preghiera altro non è che un’unione con Dio, dove Dio e l’anima diventano come due pezzi di cera, fusi insieme, ormai impossibile da separare. È una cosa meravigliosa questa unione con Dio con la sua piccola creatura, è una felicità che non si può capire”.

 

Tanta pace, fino alla “gioia piena” (Gv 15, 11) che “nessuno potrà togliere” (Gv 16, 23) ci viene dalle confidenze del Signore in quella notte del tradimento. Tanta luce e conforto nel sapere che ci sarà dato “il Consolatore”, “lo Spirito di verità che procede dal Padre” e viene a rendere testimonianza sul Cristo e a renderci capaci di testimoniare anche noi il bene del Vangelo (cfr Gv 15, 26-27). Tanta fiducia e docilità è richiesta nell’ascolto umile dello Spirito. Egli ci “guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future” (Gv 16, 13).

 

Diventare “uno”

 

7. Nella preghiera conclusiva della Cena, Gesù si rivolge al Padre con queste parole: “Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno….  Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità. [...] Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato…  Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me. […]  Io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro” (Gv 17, 15-26).

 

La comunione e l’unità di intenti e di vita sono stati gli interessi prioritari di Cristo, desideroso di affermare la gloria del Padre e assicurarci il modo autentico di vivere ogni giorno e il più adeguato per le nostre profonde esigenze umane. Quanta fatica nelle divisioni e quanto tempo perso nello sforzo di ricucire le fratture! Quanta serenità e quanta gioia, invece, nella comunione, nell’aiuto reciproco, nella semplicità.

 

Così si esprimeva il Santo di Ars: “Nell’unità dell’Amore di Dio i cuori di tutti i cristiani si trovano riuniti e una tale unità è cielo. Quanto è bello! Quanta è bella l’unione della Chiesa della terra con la Chiesa del cielo. Il cristiano  perfetto è quella persona che unisce tutte le sue azioni, tutte le sue pene, tutte le sue preghiere e tutti i battiti del suo cuore ai meriti della Chiesa intera… È simile a colui che raduna un gran cumulo di paglia e vi appicca il fuoco: la fiamma sale subito molto in alto e forma un braciere. Se si dà fuoco a un singolo filo di paglia, esso si spegnerà molto presto”.

 

 

 

 

Con Maria

 

8. Nell’intimità del Cenacolo non possiamo escludere Maria, la Madre di Gesù. Certamente era presente, aveva preparato la Cena con le altre donne e gli apostoli; era attenta ad accogliere e a custodire nel cuore tutte le parole e le verità che Gesù, il Maestro e Signore, consegnava ai discepoli. Lei che era stata presente nella vita apostolica del Figlio, lo è adesso con maggior attenzione e trepidazione. Il santo Curato d’Ars, con la sua tenera e filiale devozione a Maria, diceva: “Gesù Cristo dopo averci dato tutto quello che ci poteva dare, vuole ancora farci eredi di quanto egli ha di più prezioso, vale a dire la sua Santa Madre”.

 

Con certezza, nei riguardi di tutti noi sacerdoti, la Vergine ha sempre mantenuto lo stesso sguardo di amore, con cui guardava e seguiva il Figlio. In ciascuno di noi rivede il suo Gesù; in ogni nostro gesto e in ogni parola vorrebbe sempre riconoscere la voce di Lui. Per questo, ci è cara la certezza della sua presenza nella nostra vita. È per noi edificante il ricordo della santità di Lei e della missione affidatale dal Signore.

 

Il Curato d’Ars confidava ai suoi di “avere amata la Madonna prima di conoscerla. Ed era il suo affetto più vecchio”. Egli diceva ancora: “Il Padre si compiace di guardare la santa Vergine come al capolavoro uscito dalle sue mani. Il cuore di questa buona madre non è che amore e misericordia. Ella non desidera altro che vederci felici. È sufficiente solo volgersi verso di lei per venire esauditi. Più siamo peccatori e più ella ha tenerezza e compassione di noi. Non si entra mai in una casa senza parlare con il custode. Ebbene, la santa Vergine è la custode del cielo!”.

 

Rivolgiamo a lei il nostro sguardo, in questa prossimità della Pasqua. Lei che è il “capolavoro” della grazia, ci indicherà i passi giusti e necessari per attingere la vita dal Cuore del Figlio e gioirà con noi nel vederci risplendere con i colori della risurrezione.

 

A tutti gli auguri più affettuosi e fraterni di una buona Pasqua. Per Voi, per le Vostre famiglie, per le vostre Comunità, la mia preghiera e la mia benedizione. 

 

Acireale 1 aprile 2010

 

 

 

 

 

 

 

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