Vincenzo Noto

 

 

riflessioni a partire da una lettera

(“città nuova”, 25 settembre 2009)

 

         La prima lettera riportata nella posta, sul numero 18 di “Città nuova”, giunto di recente, mi ha  portato ancora una volta a pensare alla diversa risonanza che le parole  -dette o scritte- hanno

a secondo della  storia e della formazione personale di chi le riceve.

 

         La risposta alla lettera la ha data la rivista, cui la lettera era indirizzata.

         Quelle che seguono  vogliono quindi essere solo alcune mie personali riflessioni , senza particolari pretese.

 

         L' autore della lettera non vede di buon occhio quelli che chiama “catto-comunisti”.

 

         Quando sento la parola “comunista” il mio primo pensiero va alla alle comunità cristiane di cui parlano gli “atti” e non al cosidetto “socialismo reale” ed ai “gulak” .

         Si tratterebbe, evidentemente, di un'altra cosa.

 

         A me ora sembra possibile che molte  delle persone definite catto-comunisti  -fra le quali probabilmente rientrerei- si rifacciano, in qualche modo,  ai cristiani dei primi tempi, dei quali “nessuno era bisognoso perchè  nessuno diceva suo ciò che possedeva”.  (1)

 

         Non ho letto Marx. Mi sono fermato a  Luca, che era venuto un poco prima.

 

         Non sono  convinto che il diritto di proprietà inteso come “jus utendi atque abutendi” rientri tra  i valori cristiani.

 

         Ad un certo punto della mia vita ho cominciato a pensare che Gesù Cristo sia stato crocifisso non direttamente per quello che diceva,  ma per quel tipo di pericolose comunità che, sulle sue parole si stavano formando.

 

         Sono  riflessioni personali, che valgono quel poco che valgono.

         Non ho certo la pretesa di  “avere la Verità”.Mi sembra infatti che Uno solo possa  affermare, a pieno titolo : “in Verità, in Verità Vi dico...” .

 

         E questa è una convinzione che spero di mantenere.

         Per intanto continuerò a riflettere sul tema.

 

                                                                                 Cordialmente Michele

 

Palermo, 5 ottobre 2009

 

michelesilvestri@libero.it

 

(1)  “...nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era tra loro in comune. Nessuno infatti era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l'importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli Apostoli, e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno”. Atti di apostoli 4; 32 e 34-35 . Versione utilizzata dalla CEI nella “bibbia di Gerusalemme” edita nel 1973. Imprimatur del 21 maggio 1979. (Vedere anche “ATTI 2; 44-45”).

 

 

 

 

progetto: SoMigrafica 2009