Vincenzo Noto

 

150 ANNIVERSARIO DELL'UNITA' D'ITALIA

 

Pochi mesi ci separano dal 150° anniversario dell'Unità d'Italia e, a parte qualche polemica strumentale, mi pare che l'anniversario si avvii a passare sotto silenzio. Naturalmente non mi riferisco ad eventi e cerimonie con conseguente spreco di risorse. Quelli sicuramente ci saranno. Assisteremo, infatti, a fatti celebrativi carichi di quella retorica politica che normalmente viene fuori in tali occasioni. Quello che mancherà è altro, cioè la sostanza, il proporre la ricorrenza come occasione per dare risposte alla assenza, più o meno, manifestazione di spirito nazionale. Ed il fatto è ancor più grave oggi che si assiste alla significativa decadenza di quella coesione nazionale, cioè di quel riconoscersi quale popolo che condivide un destino comune per il perseguimento del quale eccita sentimenti di cooperazione e solidarietà. Si può certo dire che l'errore sta nel manico, che questo spirito nazionale, positivamente inteso, è mancato ab origine. Che cioè questo Paese, il suo essere unito, è stata un'invenzione di una sparuta elité che si è imposta sul reale sentire della gente. Si può anche dire che la retorica risorgimentale, caricata da una forte spinta anticlericale, ha costruito una realtà artificiale. Si può perfino dire - ed il bel libro di Christopher Duggan, La forza del destino, lo afferma a chiare lettere – che nella storia dalla caduta dell'impero romano al 1860 per Italia si intendeva uno spazio territoriale e non certamente una nazione e che, in questo senso, il demonizzato principe di Metternich, avesse ragione definendola mera”espressione geografica”. Si può dire con buona ragione tutto questo. Ma 150 anni di destino comune, fatto di sacrifici, di dolori, di orrore e sangue, non si possono cancellare. L'Italia, nonostante tutto, c'è. E' una realtà che, detrattori a parte, ha un peso nell'economia mondiale e che ha perfino un peso nello scacchiere geopolitico mondiale.

Mi chiedo allora perché avviene tutto quello che sta avvenendo e la risposta non la trovo nelle insulse battaglie separatiste o rivendicazioniste. Dico insulse, perché con tutto il rispetto di chi le porta avanti, si tratta di battaglie di breve respiro, condotte spesso in modo opportunistico, quindi in malafede, per le quali non c'è neppure un approfondimento teorico scientificamente valido. Ben altre infatti sarebbero le polemiche che il Meridione potrebbe, ad esempio, attivare, per contestare le politiche romane. Ben altre potrebbero essere le rimostranze che la parte forte del Paese, peraltro costruita fin dall'inizio da quelle elite risorgimentali trasformando il Meridione in un semplice mercato di consumo.

Le risposte stanno altrove, il minimo di coesione nazionale, in mancanza di una vera pedagogia comunitaria, era dato dalla presenza di un partito nazionale, un partito che al di là della ideologia veniva a rappresentarsi come il soggetto capace di sintetizzare gli interessi della nazione. Sembrerà una provocazione, ma in Italia manca la Democrazia cristiana che De Gasperi era riuscito a costruire non in funzione della rappresentanza dei cattolici, ma come strumento di ricostruzione del Paese, di sviluppo e di modernizzazione.

E' stato un errore madornale quello che fece l'allora segretario Martinazzoli cancellando un nome che rappresentava una storia positiva – lo abbiamo allora affermato  con il defunto presidente Alessi presentando al congresso un ordine del giorno contrario - confermando di fronte all'opinione pubblica proprio il  contrario. Martinazzoli e molti altri che gli stavano attorno, non avevano compreso quale importanza avesse quello strumento politico che invece Aldo Moro, in un famoso discorso alla Camera di una diecina di anni prima, aveva orgogliosamente difeso.

Da quell'atto suicida, che trovò consenso in coloro che proprio in quello spirito nazionale non credevano, non si è riusciti a trovare qualcosa che in qualche modo, potesse interpretare il ruolo della Democrazia cristiana.

Per completezza e per non essere tacciati di spirito di parte, bisogna riconoscere che, almeno nella fase iniziale, lo  fece Berlusconi, prima cioè di lasciarsi trascinare dalla tutela dei propri interessi di bottega e dai propri deliri d'onnipotenza.

Rimango, infatti perplesso leggendo che uomini e movimenti con radici antitetiche allo spirito nazionale, impugnino la bandiera unitaria.

Un esempio per tutti: quale credibilità può avere il sindaco di Genova, che oggi accoglie la festa del PD con l'esaltazione dell'inno di Mameli simbolo di unità nazionale, a cui si devono espressioni e manifestazioni settarie di puro laicismo la cui conseguenza è la divisione più che l'unita della comunità nazionale ?

Queste disordinate riflessioni, precedono di qualche giorno la lettera che noi storici invieremo al Presidente della Regione perché si dia spazio, anche in Sicilia, alla celebrazione dell'anniversario. Non so quale sarà la risposta, ma in ogni caso, con massimo disincanto, anche se fosse positiva, e di ciò dubito, si iscriverebbe nel contesto di un atto formale sostanzialmente senz'anima.

 

Pasquale Hamel  

 

 

 

progetto: SoMigrafica 2009