Vincenzo Noto |
Col canto nel cuore AVVENTO 2010
A Natale gli angeli hanno inondato di luce e di canto il cielo cupo della nostra terra. Anche oggi la Chiesa riprende quelle note celesti e seguendo i passi dei pastori ci indica la strada da seguire. Vuole ancora una volta farci vivere l’Evento unico della storia umana: quello di Dio che si è fatto uomo ed è nato bambino. Per questo apre l’Avvento con un invito di esultanza: “Andiamo con gioia incontro al Signore” (dalla Liturgia della Prima Domenica).
Un cammino necessario
1. Nessuno può credersi esonerato dal percorrere la strada dei pastori per vivere la “lieta” avventura cristiana. Con l’Avvento deve iniziare “senza indugio” il nostro cammino spirituale. Esso ci permetterà di “vedere l’avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere” (cfr. Lc 2, 15). La destinazione Betlemme nasce dalla sete di verità e di pace che arde nel cuore di tutti.
In questo tempo di grazia avremo modo di contemplare il Natale. Sarà un invito ad avvicinarci sempre più alle scelte fatte da Dio per incontrare noi uomini: quelle della povertà, del silenzio, del farsi piccolo. Noi desideriamo incontrarlo per diventare “come Dio”. Un’aspirazione resa possibile da Dio stesso e dettata dal suo grande amore per noi. Le condizioni per venire dal cielo alla terra e stare con noi, saranno le stesse per elevarci dalla terra al cielo. Per noi resta un problema. Siamo legati affettivamente a tante realtà; e soprattutto non ci è facile rinunziare a noi stessi, alle nostre convinzioni. “Lasciare tutto”, anche le persone e le cose buone e soprattutto il nostro mondo interiore di cui ci fidiamo e siamo certi che è verità, per acquisire la statura interiore dei piccoli, ci trova resistenti. Non vorremmo fare tale passo liberatorio. Eppure, è la condizione necessaria, secondo Cristo, per “entrare nel regno di Dio”. Una volta entrati, saremo illuminati dalla luce divina, avvertiremo che il suo amore paterno ci raggiunge, manifesta la sua misericordia e ci fa vivere.
2. Il Natale si presenta, allora, come una straordinaria occasione di cambiamento. Nascere “di nuovo dall’acqua e dallo Spirito” (cfr. Gv 3, 5). La contemplazione dell’infanzia divina, l’esperienza della tenerezza e della sua misericordia ci commuove e ci conquista. Esse vengono offerte in abbondanza e ci vengono incontro con l’amore pronto e rispettoso. È una grazia grande trovarsi a guardare con gli occhi della fede il Bambino e risalire al mistero. Non si può rimanere col cuore talmente insensibile, da non essere conquistati dalla semplicità, dalla gioia, dal silenzio e dall’intero mistero di Betlemme! Il modo come Dio ci è venuto incontro ci disarma e ci conquista. La Chiesa conoscendo la sensibilità di tutti, nella notte di Natale ci richiama l’esperienza straordinaria della maternità e della paternità, perché ci sentiamo coinvolti pienamente dall’Evento: “Un bambino è nato per noi; un figlio ci è stato donato”. E noi lo accogliamo, adoriamo il mistero, ci lasciamo conquistare dalla sua tenerezza.
I passi obbligati
3. I passi del nostro “andare fino a Betlemme” devono muoversi, anzitutto, dal desiderio di intuire i sentimenti di Maria. Lei ci saprà dare le giuste indicazioni del cammino. La gioia della maternità in Maria dovette essere indicibile e unica. Nessuna mamma riesce a trovare le parole adatte per descrivere ciò che sente nell’animo nel momento in cui conosce di avere in grembo un figlio. Le lacrime e la gioia sono gli unici segni che riescono ad esternare la pienezza che fa traboccare il cuore di contentezza. Maria sapeva che il Figlio le portava il paradiso intero. Per questo i suoi giorni sono stati segnati dalla contemplazione gioiosa del mistero di Dio, della sua misericordia, del suo grande amore per gli uomini. Un amore che ha voluto condividere la stessa condizione umana, povera, debole, carica di incomprensioni e ostilità. Una inaudita solidarietà che gli ha permesso di lasciare in ogni situazione il germe della vita che salva e preparare il risveglio della creatura ai richiami del Padre.
In questo Avvento troviamo momenti di sosta dalle tante occupazioni e rimaniamo a contemplare il mistero per imparare da Maria la semplicità, la gratitudine e la gioia. Sentiremo l’invito a liberarci dalle nostre parziali e interessate vedute per guardare nella verità e con rispetto le scelte e le fatiche dei nostri fratelli. L’arroganza nei confronti dei fratelli è sempre sconfitta e segno di orgoglio che genera inquietudine, divisione, malessere e rende difficile la ricomposizione della comunione. Porta il nostro cammino lontano da Betlemme, nella parte opposta e rende impossibile godere del beneficio del Natale.
4. Abbattere le barriere sarà il nostro secondo passo in avanti. Oggi è richiesto l’abbattimento delle barriere architettoniche per permettere a tutti di raggiungere senza difficoltà i diversi piani di un fabbricato. Le nuove costruzioni vengono già pensate con gli adeguamenti possibili. Il Natale pone lo stesso problema per il mondo spirituale. La nostra vita interiore è come una casa. A volte sembra una fortezza, tanto siamo forti nel difendere le nostre posizioni, le nostre convinzioni, le nostre scelte relazionali. La nascita di Cristo chiede di abbattere le barriere delle nostre “architetture interiori”. Di esse, mai si può dire che si tratti di “opere d’arte”, non modificabili. Sono sempre sovrastrutture deformanti la linearità della fisionomia spirituale richiesta dal divino Architetto. Egli per venire a noi ha abbattuto tutte le barriere e le distanze tra il divino e l’umano e ha voluto percorrere la via della semplicità e dell’infanzia. Dio che si presenta a noi “Bambino” dichiara, con la sua scelta, di non avere problemi di riserbo, di lontananza, di difesa: “pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo la condizione di servo, divenendo simile agli uomini” (Fil 2, 6-7).
Per adeguarci al suo modo e poterlo incontrare, è necessario dunque operare diversi abbattimenti. L’umiltà, qualità divina, ci chiede di togliere dalla nostra mente e dalla nostra vita quelle convinzioni di superiorità che ci spingono a giudicare e a definire in certo modo la vita degli altri, impedendo la comunione e mortificando grandemente l’amore fraterno e il dovere della carità. Senza pensarlo o prevederlo, nel giardino della nostra sicurezza nascono diverse erbacce della famiglia del sospetto, della maldicenza, dell’ingiustizia, delle liti, della calunnia, della chiusura con tutti. Il Signore che viene non entra in una casa “bellicosa” dove le barriere non sono state abbattute o non vogliono essere abbattute. Rimane fuori e attende che l’atmosfera interna si rassereni e sia compatibile con il discorso della mitezza divina.
Durante l’Avvento sentiremo la parola profetica della Chiesa che ripete con chiarezza:
“Una voce grida: «Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata. Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno»” (Is 40, 3-5)
5. La Scuola del silenzio sarà un ulteriore passo da compiere. Nel cammino il Natale, assieme a Maria e Giuseppe, impareremo il silenzio. Dio è entrato nella nostra storia umana “in punta di piedi”. Maria e Giuseppe camminano nelle strade che dalla Galilea portano a Betlemme come tutte le persone del loro tempo, senza pretendere alcun privilegio, adattandosi per il tempo della nascita, in un rifugio di fortuna. Sono poveri e rimangono tali. Senza lamenti, senza gelosia nei confronti degli altri.
Mi tornano alla mente le parole mirabili pronunziate dal Papa Paolo VI in visita a Nazareth. Penso di poterle attribuire a Betlemme senza forzature: la povertà e il silenzio dei due ambienti si somigliano; la gioia, la comunione e la preghiera hanno la stessa voce. “In primo luogo [la casa di Nazareth] ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! Silenzio di Nazareth insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri. Insegnaci quanto importanti e necessari siano il lavoro di preparazione, lo studio, la meditazione, l’interiorità della vita, la preghiera, che Dio solo vede nel segreto”.
In questo Avvento, allora, impariamo ad ascoltare il silenzio. Sarà duro inizialmente. Poi ci sarà più facile, fino a gustarlo perché trasmette tanta pace. In un gruppo di giovani un giorno una ragazza ebbe a dire: “Ho lavato i piatti a casa con il televisore spento e ho fatto fatica”! In effetti siamo totalmente immersi nei rumori e nei suoni che non sappiamo più immaginare il beneficio del silenzio. Esso, invece di chiuderci ci apre alla verità, alla vita degli altri, al confronto sereno e costruttivo, alla giusta valutazione delle persone e delle cose. Il silenzio parla; e col silenzio si parla. È una vera conquista saperlo vivere.
6. A Betlemme si impara la semplicità. Tutti vivono nella serenità la vita semplice dei poveri. Non hanno pretese: la Vergine si muove nell’ambiente totalmente nuovo e inadeguato e tra le persone con la normalità della sua realtà di donna povera e di giovane madre. Solo i semplici e i poveri hanno percepito la eccezionalità del Bambino. Giuseppe, anche lui, semplice. Il loro volto rivelava la contentezza straordinaria del loro animo puro. Chi sa quanto pianto di gioia hanno fatto Maria e Giuseppe nel segreto per quella nascita! A loro era affidato la vita e la sorte del piccolo Gesù. Com’è gradita la spontaneità rispettosa e umile: non mette in imbarazzo, fa superare i piccoli o grandi inconvenienti che nascono senza colpa di alcuno, riportando ogni cosa alla normalità. La semplicità vede le realtà anche grandi con sguardo disincantato e senza imbarazzo; si adatta a ogni circostanza o evenienza con saggezza e disinvoltura.
7. A Betlemme si impara la povertà. Tutto è povero e non disturba, né fa desiderare altro. La vita si svolge senza rimpianti o lamentele. Si vive con l’essenziale e ci si accorge che basta e assicura altri benefici che diversamente non potrebbero essere assicurati, come la pace tra le persone, la preghiera, la ricerca di soluzioni nuove. Niente manca e nulla è in più. Con la povertà ogni distacco non è eccessivamente doloroso; ogni realtà è dono, ogni relazione non è vissuta in maniera possessiva; si rispettano le differenze e la libertà dei singoli. Si apre il cuore all’azione provvidenziale di Dio e si sperimentano i favori divini.
8. A Betlemme si impara la gioia. Tutto il creato è stato posto da Dio nella gioia e si esprime attraverso i segni che ci riportano alla danza, all’esultanza, al gioire insieme.
“È bello rendere grazie al Signore e cantare al tuo nome, o Altissimo, annunciare al mattino il tuo amore, la tua fedeltà lungo la notte, sulle dieci corde e sull’arpa, con arie sulla cetra. Perché mi dai gioia, Signore, con le tue meraviglie, esulto per l’opera delle tue mani. Come sono grandi le tue opere, Signore, quanto profondi i tuoi pensieri!” (Sal 92, 1-6)
La gioia ci fa gioire anche delle piccole cose, ci fa raccogliere i frutti della comunione, della libertà interiore, ci apre alla fiducia, all’ottimismo, ci aiuta a saper attendere.
La gioia è la dimensione nuova consegnata all’umanità dalla risurrezione di Cristo. Chi entra in questa realtà non può non gioire. La venuta del Verbo divino come uomo, figlio di Maria, ha inaugurato la vita nuova che nella risurrezione ha visto il suo pieno compimento. Così Giuseppe, nella sua esperienza di sposo di Maria, ha vissuto l’economia della risurrezione in anticipo ed è “risorto” (fa intendere il testo originale del Vangelo di Matteo), nel prendere con sé Maria, come gli aveva ordinato l’Angelo. Nella stessa esperienza di “novità”, ci narra il Vangelo di Luca, “i pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro” (Lc 2, 20).
9. A Betlemme si impara l’accoglienza. Maria e Giuseppe sono disponibili ad accogliere chiunque: i poveri e i re magi. Le regole sono dettate dalla semplicità e dalla povertà. Per chi è semplice e povero, gli altri sono tutti importanti, sono sempre un dono. Quello che dicono e succede loro è ricchezza inaudita. Per questo Maria, “da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2, 19).
La prima accoglienza deve essere rivolta alla Parola. Il tempo di Avvento deve qualificarsi come il tempo privilegiato per continuare o riprendere nelle Comunità la Lectio divina, per la preghiera con la Scrittura. Un ascolto devoto che lascia penetrare l’azione profetica e salvifica della Parola.
La nostra vita allo specchio
10. Se riportiamo nel nostro quotidiano della famiglia e della vita dei giovani quanto abbiamo imparato con la contemplazione del mistero del Natale, del suo ambiente, delle persone che hanno animato quei giorni, ci rendiamo conto dei benefici incalcolabili che ne derivano.
L’abbattimento delle barriere ci fa eliminare ogni presa di posizione e gli atteggiamenti di superiorità nei confronti degli altri, toglie le distanze, ci fa evitare l’arroccarsi in preconcetti e in pretese inammissibili.
Il silenzio aiuterà al rispetto reciproco, a non correre avanti con giudizi sospetti, alla serenità, a pensare prima di parlare o di agire, all’ascolto reciproco, amorevole e comprensivo, all’attenzione ai diversi problemi che assillano il cuore dell’altro, coniuge o figlio, padre o madre e a evitare le parole inutili o inopportune che feriscono o riaccendono le questioni. Il silenzio permette soprattutto l’ascolto insieme della Parola di Dio. La semplicità ci fa godere del bene che possediamo, senza desiderare o sperare di possedere ciò che non possiamo avere; non aggrava le situazioni, i conflitti, le incomprensioni; agevola il rapporto, la ricomposizione delle divergenze; fa trovare le ragioni della comunione e della rappacificazione. La povertà non suggerisce spese indebite o inutili, solo per apparire; ma invita ad accontentarsi del poco che basta e restare sereni. È più dignitoso restare nella pace col poco che essere agitati di apparire quello che non siamo e non possiamo possedere.
L’Apostolo Paolo, esperto della vita nuova e conoscitore dell’animo umano, bisognoso di essere costantemente nutrito di verità e accompagnato nel giusto comportamento, raccomanda: “La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori. E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre” (Col 3, 16-17).
Le motivazioni del beneficio del nostro incontro con la Parola sono tante. Dalla stessa Scrittura si ricava che essa è: “Parola di vita”, “lampada per i miei passi”, “più dolce del miele”, “tagliente come spada a doppio taglio”, “utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2Tim 3, 16-17).
La nostra vita ecclesiale registra, nel piccolo di alcune famiglie e nel grande delle Comunità, purtroppo, qualche atteggiamento – lo dico con il cuore angosciato – che fa pensare all’orgoglio e al sospetto dell’animo di Erode e di tutta Gerusalemme con lui. Non si arriverebbe a cercare il bambino per ucciderlo. Sarebbe un tentativo vano. L’accecamento in alcuni casi è tale che non si risparmia la “morte” del fratello. Viene di pensare quanto aveva preannunziato Cristo ai discepoli: “Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma vi ho detto queste cose affinché, quando verrà la loro ora, ve ne ricordiate, perché io ve l’ho detto” (Gv 16, 2-4).
Sembrerebbe una realtà irreale e impossibile che avvenga. Eppure può registrarsi. Se nel nostro cuore detestiamo queste situazioni, l’Avvento ci sollecita a non far passare invano il tempo della grazia che stiamo per vivere per riportarci alle sorgenti della verità e della pace.
Avvento di Fraternità
11. L’Avvento ha sempre bussato al nostro cuore per invitarci a quei gesti di solidarietà che qualificano la nostra statura cristiana e ci aiutano ad esprimere nella carità la nostra fede. In questo nostro Avvento è lodevole che le offerte provenienti dalle rinunzie personali e dalla generosità di ciascuno vengano devolute a favore delle diverse attività ordinarie (Formazione Caritas parrocchiali, Centro di ascolto diocesano, Osservatorio delle povertà, Servizio di strada e Accoglienza, Fondo di solidarietà, Poliambulatorio medico, Servizio immigrati e rifugiati, Emergenze, ecc. ecc.) che la nostra Caritas realizzerà in questo anno pastorale. Sarà un attestato di solidarietà e una preziosa attenzione a conforto di chi si adopera per la promozione dei fedeli e dell’ambiente. Il gesto torna altresì a beneficio personale, perché permette al nostro cuore di crescere in sensibilità e ampiezza per un’apertura all’accoglienza, sempre più genuina e disinteressata.
Il segno concreto della solidarietà di tutti venga devoluto, come in analoghe circostanze, alla Curia Vescovile – Ufficio Amministrativo (c.c.p. 11102951), oppure alla Caritas Diocesana (c.c.p. 000013263959), indicando nella causale: “Avvento di Fraternità 2010”.
12. Betlemme ci offre orizzonti di pace. Iniziamo l’itinerario che ci porta fino a “trovare Maria e Giuseppe e il bambino adagiato nella mangiatoia” (cfr. Lc 2, 17). Il “tesoro nascosto” che dice tutto del Vangelo e ci presenta nell’infanzia, nella povertà, nel silenzio, nella gioia, nella preghiera, nella comunione, le qualità del regno dei cieli (cfr. Mt 13, 44). Non dobbiamo andare lontano per trovare i segni che ci parlano di Dio; non ci attendono Progetti grandiosi per seguire le orme che ci portano a vedere le meraviglie del Signore. La lezione silenziosa di Maria che “da parte sua custodiva tutte le realtà vissute, meditandole nel suo cuore” (cfr. Lc 2, 19), ci propone un prezioso percorso di vita.
A tutti il mio augurio di un Avvento ricco di grazie e di luce interiore, vi giunga l’assicurazione della mia preghiera e la mia benedizione.
Acireale, 28 novembre 2010 Prima domenica di Avvento
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